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ESTRATTO


Questioni di superficie 2: La guerra

Roberto Di Marco

Bollettario n°41


Come la questione della democrazia (già sofferente in Italia ma anche altrove – a partire dagli stessi USA nonostante le apparenze formali e a dispetto di ogni demagogia) anche la già grave catastrofe di guerra nella quale siamo dentro (anche se si tratta di una guerra nuova e diversa dalle precedenti), è questione di superficie. Dico di superficie, non superficiale (i morti si contano già a migliaia, la paura è di tutti ovunque e la vita di ciascuno ne è – prima o dopo, direttamente o indirettamente – stravolta). Certo, noi abitanti/frequentatori della superficie precariamente informati scarsamente dediti all’approfondimento che pare questione di magia, e di continuo disinformati ingannati, percepiamo maggiormente i rischi attuali della democrazia gradualmente dissanguata e i pericoli incombenti di una guerra detta «asimmetrica» e fatta per lo più di sanguinose e improvvise simil/stregonerie. Ma i problemi di fondo sono altri (e sono essi la causa prima dei rischi e dei pericoli di cui sopra).
Ed è giusto, tuttavia, che tutti i movimenti sociali di critica anche radicale del neoliberalismo e di opposizione e persino i movimenti antisistema (antichi o nuovi che siano) ricevano le spinte motivazionali e mobilitanti in profondo da quelle che chiamo «questioni di superficie» (oramai sempre più gravi e «globali» come «globale» è, con tecniche sempre più sofisticate fornite dagli sviluppi – sussunti al capitale sin dall’inizio – del sapere / potere delle scienze, il dominio sempre più umanicida e naturicida dell’economia finanziaria transnazionale a dominanza – per ora –statunitense). Il fatto è che le sofisticate armi del potere – dalle mediatossine alle «bombe intelligenti» alle minacce nucleari di riserva – consentono al potere medesimo di gestire prima o dopo e di manipolare a suo beneficio tutte le questioni di superficie.
Ma le questioni di fondo rimangono immutate e col tempo si aggravano.
A sinistra c’è persino pudore a nominarle quando non ignoranza o malafede .

I diciannove morti italiani di Nassiriya non erano «eroi» ( e però è stato giusto onorarne il sacrificio e lodare il lavoro che svolgevano con spirito pacifico e umanitario) ma vittime, di una politica estera servile e dissennata, e di una guerra condannata dalla stragrande maggioranza del popolo italiano e dell’opinione pubblica mondiale oltrecchè motivata con ragioni falsee fittizie (le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein mai trovate; il nesso Saddam-Al Qada mai dimostrato). L'episodio tragico di Nassiriya ha comunque reso certo che oramai anche l’Italia è coinvolta direttamente nel fuoco di questa nuova «guerra mondiale» che si prevede lunga e feroce (necessaria a Bush e agli interessi che gli stanno dietro non meno che ad Al Qaeda e agli interessi simili ma opposti che rappresenta dietro l’ideologia del fondamentalismo islamico).
Alcuni punti vanno chiariti. Innanzi tutto: il pericolo – benché sanguinario e imprevedibile – non è il terrorismo fondamentalista. Il terrorismo è una tecnica di combattimento (l’unica-sinora- in grado di far fronte alle armi ultra sofisticate di cui dispongono gli eserciti moderni) che deve essere di continuo alimentata grazie al fanatismo indotto o da motivi religiosi o da sentimenti nazionalisti e razzisti o da sentimenti profondi di ribellione contro le ingiustizie sociali o politiche o economiche.
E contro il terrorismo può qualcosa soltanto la prevenzione la indelligence o la dissuasione morale diffusa che promuova una sentimentalità di segno opposto e l’avvio di una politica la quale tenda a rimuovere le gravi ingiustizie di cui i popoli del Sud del mondo sono vittime da secoli. Non ha torto, infatti, chi dice che il terrorismo si combatte con la politica.
In secondo luogo, il nemico non è la civiltà musulmana come tale, che è di per se, civiltà più pacifica, più gentile, più colta e nemica della violenza di quanto non sia stata sin ora la civiltà d’Occidente (e tanti ideocrati occidentali, ora che siamo nella mondializzazione e nella catastrofe, potrebbero di tanto in tanto studiare qualcosa di quella civiltà -e di altre- da cui la nostra ha molto da imparare e a cui deve molto).
Il nemico allora chi è? Detto d’un fiato: sia per noi occidentali che per il Sud del mondo il nemico è il capitale come principio determinante che nel corso dei secoli e ora peggio che prima ha fatto sì che la storia dell’intera umanità fosse una storia di oppressioni, di sfruttamento, di guerre, di violenze, di sopraffazioni, di divisioni e discriminazioni di rapine e genocidi ecc. ecc. e quando dico «il capitale come principio determinante» intendo in esso unite le ragioni del profitto e le ragioni della scienza (la scienza infatti - sussunta al capitale - o produce mezzi di produzione o produce senso che produce valore).
So che farò scandalo, ma storicamente ( in Occidente) il capitale s’è fatto scienza e la scienza s’è fatta capitale. Ciò senza nulla togliere alle rivoluzioni «progressive» cui, nei secoli (specialmente XVII, XVIII e XIX) capitale e scienza hanno saputo dar vita. Solo che ciascuna di quelle rivoluzioni ha avuto risvolti nefasti per parti del genere umano, per aspetti della vita umana, per zone della natura.
Dati i tempi, molti, leggendo l’affermazione che individua nel capitale il nemico principale saranno pronti a gridare “al lupo al lupo”. E noi ripetiamo, con ostinazione, che il nemico vero di tutti è stato ed è diventato sempre più il capitale come principio determinante che è agente ed è un processo storico d’Occidente i cui protagonisti sono interessati esclusivamente all’incremento del profitto anche a scapito dell’umanità e della natura.
E aggiungiamo, dialetticamente, è il nemico vero in ultima analisi. Il che significa che intanto va combattuta la politica imperiale di G.W. Bush, dei suoi ispiratori (innanzi tutto i neo conservatori americani) e dei suoi complici (Berlusconi compreso) come vanno combattute le devastanti imprese Al Qaeda dei suoi accoliti e imitatori e seguaci ( e di Al Qaeda vanno innanzi tutto tagliate le radici finanziarie occultate in molte banche occidentali e le radici ideologiche favorite dal razzismo «bianco» e dalle persecuzioni anti-immigrazione dei paesi europei, come? Battendosi per la pace, promovendo la solidarietà tra i popoli in modo attivo, difendendo i diritti dei più poveri e oppressi a qualunque religione o etnia appartengono, dando sostegno e partecipazione a qualunque iniziativa (sia civile che religiosa) in favore delle vittime di ogni guerra di ogni disastro e di ogni ingiustizia, ecc.. Essendo chiaro che: non c’è male o sofferenza in qualunque parte del mondo che non sia male e sofferenza di tutti noi.
Un terzo punto – fondamentale però – da precisare è che stante la situazione attuale del mondo una contraddizione tra Sud povero e Nord ricco ci sarà per molto tempo ancora come risultato/conseguenza di una storia mondiale fatta di ingiustizie, sopraffazioni, rapine ecc.. E tale contraddizione potrà essere «trattate» pacificamente soltanto se il Nord ricco rinuncerà ad una parte della propria ricchezza in favore del Sud povero aiutandolo a crescere, a svilupparsi e ad eliminare i propri mali.
C’entra tutto ciò con la democrazia: sì, se ci rendiamo conto che possiamo difendere e sviluppare la nostra democrazia soltanto se capiremo e favoriremo la democrazia altrui. E la democrazia altrui potrà anche essere diversa dalla nostra (come lo è stata per secoli).
Quest’ultima questione – che riguarda il nesso tra pace e democrazia – non è più «questione di superficie», ma di fondo e di base come di fondo e di base è la questione del ruolo che storicamente ha avuto il capitale come principio determinante nella storia del mondo. Ruolo che è stato decisivo nel generare le fratture inter – umane che sono divenute oramai la causa profonda dello stato del mondo pervenuto attualmente alla sua fase più pericolosa per tutti.

30 Novembre 2003


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ultimo aggiornamento: domenica 04 gennaio 2004 17.22.56
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