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Lettera aperta al Papa di Roma

Armando Gnisci

No God - 20 luglio 2003


Egregio Pontefice romano Giovanni Paolo II,
da diverso tempo e incessantemente Lei alza la sua voce nel deserto continentale per rivendicare la necessità che venga inserito un cenno (almeno un cenno) sulle radici cristiane della nostra civiltà nel testo della nuova Carta costitutiva dell'Europa del terzo millennio. Nessuno le risponde, se non con qualche vago, incomprensibile, ma negativo gargarismo. E tutti noi europei, non siamo messi in grado di capire che cosa sia giusto fare, a prescindere dall'essere cristiani e nonostante l'essere cristiani Cercherò di farlo io, come europeo responsabile, assumendo, cioè, l'unica identità concepibile per un umanista europeo: quella di saper rispondere del proprio essere europei.
Il mio punto di vista e il senso del mio discorso provengono da antenati che lei conosce benissimo: si chiamano Epicuro e Lucrezio, Averroè e Federico II (ai quali una leggenda medioevale attribuiva l'ispirazione del clandestino Tractatus de Tribus Impostoribus e cioè, come lei ben ricorda, Mosè Cristo e Maometto), Bruno il bruciato e il mansueto Bento Spinosa, l'illuminismo rivoluzionario, Marx e Nietzsche, Sartre. Sto parlando dell'ateismo europeo militante contro la natura e l'esistenza degli dèi, e, definitivamente e a più a lungo, dei tre dii monoteisti mediterranei.
Veniamo a noi, allora. La storia dell'Europa, soprattutto di quella occidentale e centrale, non ha come radice, tra le tante altre, il cristianesimo, ammesso che valga la pena di usare il modello delle radici. La storia dell'Occidente è fatta da una relazione vincolante espressa dalla lotta dello spirito autonomo e emancipato e dalla filosofia della libertà dell'umano contro qualsiasi tirannia, compresa quella più assurda e pesante: il timore di ciò che non c'è, degli spettri-divinità. E quindi, se il cristianesimo è un elemento importante della nostra storia lo è nella mutua storia che forma con il laicismo. Questi esprime la lotta del "pensiero forte" d'Europa per sbarazzarsi del vincolo religioso-teistico e del suo massimo laccio: quello monoteistico e istituzionale (l'ecclesia sovrana e inquisitora). Sia il pensiero ateo che quello eretico interno al cristianesimo e oppositore del carattere secolare della Chiesa da Lei guidata, sono pensieri plurali e libertari, e sono il partner necessario del cristianesimo. La mia tesi è, quindi, che uno dei caratteri distintivi della civiltà ultra bimillenaria dell'Europa è il suo divincolarsi e liberarsi dalla paura degli dèi e del dio potentissimo e unico che li sostituì. Questo andrebbe scritto nella Carta europea. Se si è preferito non scrivere nulla, invece, come di fatto è, sul cristianesimo e la lotta anti-religiosa, le cose stanno alla pari tra di noi: 0=0.
In definitiva, credo che il mio ragionamento ed il valore che esso trasporta valgano esattamente quanto e insieme ai suoi.
Ma non credo che il discorso che stiamo facendo, i nostri validi maestri politici, Giscard e Amato e tutti gli altri, siano capaci di dirlo, forse neanche di pensarlo. E comunque, di loro non so che dire, se non che sono dei meno che mediocri "mediatori-fondatori". E comunque, mi dispiace molto essere definito come europeo dalle carte di costoro. E anche dai nostri filosofi contemporanei, che hanno commentato sui giornali il nuovo sforzo dell'europensiero. Parlo di Habermas e Derrida, e degli ancor più penosi compatrioti Eco e Vattimo. Nani sulle spalle di nani. Al loro confronto, Lei sta ben piazzato sulle spalle di Gregorio e Leone, di San Luigi di Francia e di Santo Stefano d'Ungheria, dei padri domenicani e dell'Opus Dei, del santo cardinale Bellarmino e di Pio V con i suoi ammiragli vittoriosi a Lepanto, e della sua cattolica Polonia.
Preferisco farmi europeo responsabile da me, cercando di rendere tali anche i miei allievi nell'Università, fino a quando dentro di essa resterà un angolo di pensiero critico, nella corsa della trasformazione in azienda professionale curricolare modulare anonima s.p.a.
Un ultimo argomento, intimo tra di noi, direi, voglio sottoporre alla sua pazienza. Dal fastello falso delle religioni e da quello più funesto e triste dei monoteismi salvo un paradosso estremo del discorso cristologico, che per me è una grande lezione di umanesimo disperato: il "vecchio" dio solitario della nazione ebraica riconosce ad un certo punto del tempo della storiadi essere imperfetto, incompiuto: di aver bisogno di un figlio, di qualcuno che possa andare oltre di lui e che lo completi. Questa imperfezione, il suo riconoscimento (lo spirito santo della teologia trinitaria?) e il suo superamento procreativo e umano, formano una storia diversa e dirompente dentro il blocco del monoteismo, quello assoluto ancora radicato nei cuori dell'ebraismo e dell'islam. Il mistero racchiuso nella "tragedia della trinità patrilineare" insegna a chiunque una verità profondissima e banale, ma inascoltata: che i figli sono e devono-essere migliori dei padri, in accordo con le madri piuttosto. Ricordo che il suo minuto predecessore parlò un giorno di dio-madre. Discorsi strani, e lasciati cadere, che fanno pensare anche gli atei, mi creda. Quegli atei che sperano, come me, che gli esseri umani abbandonino tutti gli dèi e dii, superandoli; ma senza dimenticarli nei musei del futuro pessimo che i senza-dio e disuomini che comandano il mondo attualmente vogliono imporci.
Per finire: se la mia interpretazione semplicemente laica della figliolità del Cristo è plausibile, dovrebbe far riflettere anche un teologo cristiano. Essa, infatti, pone un dilemma. Delle due l'una: o il dio unico è imperfetto, proprio nella sua solitaria inesistenza; o Gesù è un impostore. Preferisco, personalmente, pensare che sia stato figlio dell'uomo, il figlio che insegna all'uomo-padre-maschio, ad accettare di essere superato.
Auguri da armando gnisci

Roma 20 luglio 2003


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ultimo aggiornamento: mercoledì 24 settembre 2003 20.00.12
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