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versione telematica del quadrimestrale di scrittura e critica diretto da Edoardo Sanguineti e Nadia Cavalera
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Anarcoidi

Armando Gnisci

13/05/2002


Al Ministro di Berlusconi, Scajola

Lei segue per il botto al Viminale la pista “anarcoide insurrezionalista”. Io le scrivo come letterato anarcoide insurrezionalista. Non uso bombe e, d’altra parte, non ho nulla da spartire con i nannimoretti e i così detti intellettuali di sinistra. Che vuol dire “anarcoide”? sulla sua bocca sembra una degradazione lessicale ammiccante (ai suoi elettori) di anarchico (quelli in tabarro nero e viso austero). Il termine “degradato” le serve per suggerire l’acclaramento della violenza bombista, ora invisibile, dei black bloc e dei cattivi del “Movimento dei movimenti” (Seattle-Genova-Porto Alegre). Per me anarcoide significa essere anarchico a modo mio: nel pensiero, nel lavoro, nel destino di stalker (veda il film di Tarkovskji) e di bandito: fatto fuori dal cerchio del potere (l’ho voluto io) e della comunicazione. E insurrezionalista? Glielo spiego in breve: ritengo che il Movimento dei movimenti, al quale aderii tra i primi in Italia, sia reale e utopico allo stesso tempo, e che questa sconnessione lo porti a non poter mantenere ciò che ingenuamente promette: la possibilità di “un altro mondo”. Sostengo che esso mondo sia impossibile se non viene costruita una nuovissima forma politica e plurale della rivolta globale. Sostengo inoltre, Scajola, che il governo in cui lei serve da ministro, è il peggiore dei G8 e il più esemplare dell’osceno terrore politico-finanziario che amministra il mondo (la specie&la terra).
Io non metto bombe, Scajola, e non faccio i girotondi della sinistra, insegno piuttosto ai giovani a “cominciare a capire” in quale mondo-inferno (legga Le città invisibili di Calvino per capire meglio) sono capitati e a prepararsi a rivoltarlo, se vorranno. Così come gli umanisti che seguono il suo corteo li istruiscono a pensare che questo è il migliore dei mondi reali. Sono un letterato anarcoide insurrezionalista, Scajola. Discuta con me. Non ho armi, né alleanze e compagni. Ci provi. Dal suo interno.

1 marzo 2002

Scansatelo



Il libro offre un rapido miscuglio di “percorsi didattici” (quel blob che opprime da decenni docenti e ragazzi) sulla letteratura dell’immigrazione. Di cosa parliamo? Non si sa. La letteratura dell’immigrazione è un entità sulla quale si pattina e attraverso la quale si vuole aprire una via all’educazione interculturale. Ottima intenzione, ma ciò che sembra muovere gli autori è piuttosto un atteggiamento di esotismo sociologico “vu cumprà” buonista da primi anni 90. La “letteratura” viene inopinatamente e brutalmente usata per illustrare l’avvio ad una società interculturale in Italia. Una questione trattata con testi datati, africani e medio orientali, senza alcun accenno ad europei o asiatici. I curatori ignorano che da anni gli scrittori stranieri, rifiutano la definizione di “scrittori immigrati”, come una recinzione esotistica-razzista. Del dibattito critico italiano e mondiale a fianco agli scrittori migranti, i curatori mostrano di non sapere nulla. Divulgatori poco informati iniettano nella scuola italiana un “supporto didattico” che ignora per giunta i veri scrittori italiani della migrazione: da Julio Monteiro a Christiana de Caldas Brito, da Jarmila Ockayova a Yousef Wakkas a Gezim Hajdari. Anche se si tratta dell’unico “supporto didattico” per ora in circolazione, scansatelo.

Parole di Babele. Percorsi didattici sulla letteratura della immigrazione, a cura di Davide Rigallo e Donatella Sasso, Loescher 2002, pagine 149, euro 10,50


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ultimo aggiornamento: domenica 19 maggio 2002 19.17.51
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