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versione telematica del quadrimestrale di scrittura e critica diretto da Edoardo Sanguineti e Nadia Cavalera
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Balestrini: l'allegoria del mondo in mise alfabetica

NADIA CAVALERA

15/07/2002


C'era una volta un mondo tondo, o almeno tale lo si sperava, sotto le nebbie dense fomentate dalla crisi delle ideologie, a partire dai primi anni Cinquanta. E la migliore arte del tempo, spiazzata dalla mancanza di punti di riferimento certi, insofferente a rilanciare forme opache, inerti, ininfluenti, linguaggi appiattiti autisticamente sulle cose così da annullarne qualsiasi interno dinamismo conoscitivo, e convinta soprattutto della mancanza di altri orizzonti oppositivi, di fronte ad un Sistema fagocitante qualsiasi antagonismo, fece del linguaggio il suo campo privilegiato di lotta, oscillante tra evoluzione e rivoluzione (la querelle interpretativa continua ancora). Cercò quindi e praticò sistematicamente, e sotto la suggestione delle avanguardie storiche, la scompaginazione, la frantumazione dei materiali linguistici, la commistione più insolita degli stessi, nella inequivocabile speranza, di stampo prettamente surrealistico questa, di scovare e far emergere automaticamente, nella proliferazione delle interpretazioni, la realtà nella più nuda nudità delle sue molte contraddizioni. Da cui però ricominciare...
Era il tempo della neoavanguardia.
E c'era Nanni Balestrini che in tutto questo credeva fortemente, senza indulgere troppo alle elaborazioni teoriche, prediligendo piuttosto prove esemplificative d'uso, quasi dei manuali per una pratica collettiva. Agiva col solito aplomb, un furore, direi, profano, controllato, ironicamente distaccato, distillato in un'arte combinatoria gravida criticamente. Da qui le parafasie, l' asintassia dei suoi testi iniziali, la congrua incongruità semantica, che prefiguravano, inevitabile, il ricorso futuro al mezzo elettronico, e dove le parole erano semplici oggetti da maneggiare per collages pensanti, provocatori di altri sensi e demistificatori, nella loro equivalente legittimità di fondo, di una realtà apparente inaffidabile. Le parole da sole o in sequenze testuali, venivano scomposte, sottoposte ad autopsie, mortisezioni per rinnovarne la vitalità. I linguaggi del potere erano insomma sventrati (ricordate la sezione "Lo sventramento della storia" in "Come si agisce"?) per rafforzare i poteri del linguaggio. La fiducia nella linguisticità dell'esperienza poetica era massima.
C'era... dicevamo, e non a caso, perché oggi Nanni Balestrini, per tappe graduali, in questo potere della scrittura. quale codificazione gutenberghiana del linguaggio, non crede più e ce lo dice a chiare seppur smozzicate lettere, alfabetiche, appunto, con la mostra di poesia visiva, in corso, alla galleria Emilio Mazzoli di Modena .
"Paesaggi verbali" (questo è il titolo), per me, non è altro che un monumento, variamente composito dalle allegorie dei singoli lavori, alla morte della scrittura, alla morte della sua capacità demistificatoria, del suo sogno rivoluzionario. E' un'indubbia presa d'atto della perfetta coincidenza del linguaggio col potere, della riduzione tirannica della storia umana a retorica. E' la ricerca ansiosa, l'attesa di altre vie, per una prassi vincente, forse una fucina..Ché la coltre che copre il reale è ancora più spessa e impenetrabile di un tempo.
In quest'ottica leggo i quadri tappezzati di parole, le metalliche colonne, tempestate verbalmente a multiforme gettito continuo, come novelli obelischi, quasi torri babeliche inconcludenti, di certo stele, ma funerarie, a futura documentaristica memoria di quando si credeva e praticava con pie illusioni la scrittura. Esibita qui, da Balestrini, nei suoi sconsolati paesaggi bianconeri, in tutti i caratteri e le dimensioni. Con la meticolosità operativa di un tipografo e con la frenesia riproduttiva drammatica, propria di una lucida coscienza creativa.
E' pur vero che quanto detto sopra potrebbe acclarare il contrario: una gioiosa e scanzonata celebrazione della scrittura, con festini e danze. Ma l'ipotesi è smentita (fortunatamente per Balestrini) da un elemento chiave che accomuna i lavori: l'affastellamento convulsivo, la sovrapposizione incalzante, la disposizione contrapposta dei brandelli testuali, l'opacità dell'immagine e conseguente difficoltà della lettura stessa, qualora si volesse (non è indispensabile) indugiare nell'analisi dei vari segmenti utilizzati. Non felici ridde, quindi, ma sabba di ombre, estranee alle sue precedenti opere di poesia visiva, dove i lacerti verbali ampi erano più numerosi e si accalcavano, rincorrendosi, in un modo che rilevava, nel manipolatore dichiarato, il rispetto, la considerazione, la fiducia. Le parole non erano così ammassate, pur in minuziosi squadrati rappezzamenti, non avevano i bordi sgranati, sfocati, come nei recenti paesaggi, ma, accostate con garbo, sembravano quasi prendersi per mano per farsi forza e meglio svolgere la loro funzione disvelatrice, dirompente, salvifica per i più.
Ma oggi, da questi scenari apocalittici: l'indistinto totale, il muro degli orizzonti, di "Crash"; i verbosi patchworks progettuali di "Quadri", il fiume di macerie di segni/sogni di "Porto Alegre"; le palle/balle accartocciate, pronte per essere calciate in aria, della "Nuova-arte" o delle "Poesie-action"; il boccheggiare asfittico con l'indicazione di vita/salvezza solo nella fuga agli estremi di "Lezioni di Fisica"; l'infame buco nero, destinato a dilatarsi in privati quadrati concentrici di "In Italia"...ebbene, da queste allegorie in mises alfabetiche, di dirompente emerge solo l'amarezza del poeta dinanzi alla vacuità del dire e alla persistenza, con accrescimento e peggioramento, dei mali che affliggono il mondo.Che da tondo, come si diceva, si è deformato, sgrossato, è diventato un cubo di deliranti speculazioni economiche (si veda "Cubo"), incastrato e castrato dalla rete telematica, in mantenimento precario su uno spigolo, e sostenuto da un altro cubo, nero, (dove sei Atlante?). Come non pensare ad un dado che qualcuno prima o poi si giocherà irreversibilmente? Da qui emerge anche la profonda frustrazione dell'autore (lui, spossessato delle sue stesse armi dal Sistema, centro onnipervasivo e potere linguistico tout cour), per non poterlo impedire.
Il poeta poteva solo denunciarlo. E Nanni Balestrini lo ha fatto.



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ultimo aggiornamento: domenica 21 luglio 2002 15.10.34
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