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NO ALLA GUERRA - SEMPRE E COMUNQUE

Giuliano Manacorda

Considerazioni dolorose...

Afghanistan 7 ottobre 2001


Qualunque parola si possa dire o scrivere sulla guerra pone una tale serie di considerazioni che può sembrare impossibile ricavarne un discorso che abbia un senso, una logica, un valore.
Escluderei subito un (pre)giudizio assoluto che liquiderebbe il discorso prima ancora di cominciarlo: la guerra fa parte della natura umana come atto di violenza nei confronti dei suoi simili quale mezzo per procurarsi il primum che è la sopravvivenza - oppure: la guerra è sempre un atto di barbarie assoluta, di rinuncia alla natura di un essere razionale, ed è perciò in ogni caso e sempre da evitare e da condannare senza la possibilità di fare distinzioni.
Se le cose stessero così, in un modo o nell'altro - con due pregiudiziali assolute - non ci sarebbe luogo a problemi e queste stesse nostre piccole pagine non avrebbero senso. Perché un senso ci sia, occorre avere il coraggio (?) di guardare la storia del genere umano nei secoli, o nei millenni, che ci precedono e prendere atto che guerre o conflitti d'ogni genere hanno costellato, o addirittura accompagnato, le vicende dell'umanità - e con una costante senza eccezioni: le parti in causa hanno sempre giudicato la propria come la giusta, e quindi giusta la violenza che l'ha realizzata.
Si sposta allora il problema dell'alternativa guerra-non guerra all'alternativa guerra giusta-guerra ingiusta (la prima doverosa, inevitabile: per difesa, per sopravvivenza; la seconda di aggressione, di oppressione, di pura conquista territoriale). Forse è così, ma prendendo atto che anche agli autori di una "guerra ingiusta" non mancano mai le "buone" ragioni per giustificarla.
Una rapidissima memoria storica antica e recente può forse avvicinarci a una qualche risposta. Su la parola guerra o suoi sinonimi e i fatti che ne conseguono, c'è la possibilità, il diritto di fare differenze? Certamente, ma con il rischio di avventurarsi in "distinguo" pericolosi e difficilissimi da dirimere; proviamo con qualche esempio. Le legioni di Giulio Cesare che invadono e conquistano la Gallia uccidendo l'"eroe" Vercingetorige; o quelle di Pompeo che invadono e conquistano l'Iberia e uccidono l'"eroe" Sertorio, sono di per sé irremissibilmente da condannare o dobbiamo costruirci sopra un discorso molto più complesso che superi lo shock delle violenze anche sopra le popolazioni civili e vada al di là, molto al di là di quelle stragi per giungere alla conclusione che senza le invasioni romane né la Francia né la Spagna sarebbero oggi quello che sono con la loro civiltà, la loro lingua, la nozione del diritto?
E' appena un esempio moltiplicabile lungo il corso dei secoli fino al nostro passando anche attraverso avvenimenti che ci riguardano da vicino. Quando il Regno di Sardegna nel 1859 fa la guerra all'Impero d'Austria per giungere infine al Regno d'Italia, come dobbiamo giudicare l'avvenimento? contando i morti - tantissimi - di Solferino e San Martino o giudicando l'esito che porta alla fondazione del nostro Stato nazionale al qual fine quella fu una "buona guerra"?
E gli esempi potrebbero facilmente moltiplicarsi.
Non vorrei essere frainteso, ma forse è necessario giungere a una "dolorosa" considerazione pur se ci porta a considerazioni "pericolose" e non sempre difendibili: è certo - e questa volta non ho dubbi - che la guerra contro il nazismo era ed è stata giusta; ma di tutte quelle che l'hanno seguita lungo l'intera seconda metà del secolo XX e oltre in tutti i continenti che cosa dire? distinguere tra Vietnam e Falkland, Kosovo e Afghanistan, Eritrea e Etiopia , Iraq e Iran? ecc., o dover infine dolorosamente riconoscere che non possediamo la cura per guarire la piaga che si ripresenta diversa ma sempre uguale nella sua violenza, nelle sue distruzioni, nelle sofferenze terribili cjhe infligge?
Certo, ci sono guerre particolarmente indifendibili (e che sono anche le più sanguinose) per le ragioni e i modi che le hanno scatenate e barbaramente condotte con l'aggravante imperdonabile del sostegno di ideologie vergognosamente rovesciate nella prassi: sono le guerre "di religione". Ma se, come io credo, le religioni altro non sono che ideologie autopaludatesi di supreme verità; succede poi - al contrario ma parallele - che le ideologie laiche, fascismo e nazismo, comunismo e capitalismo, si comportino in maniera analoga e la loro differenza con le ideologie religiose siano soltanto le diverse giustificazioni laiche - patria, classe, benessere.
Non vorrei essere frainteso: una volta avviatomi in questo discorso con animo decisamente e totalmente avverso alla guerra e alle guerre con tutte le loro "ragioni", ho dovuto prendere atto delle difficoltà, anzi della vanità di un discorso totale, per il triste riconoscimento delle rinnovantesi ma perpetue condizioni e perfino giustificaziopni oggettive che rischiano di rendere puramente teorico qualunque discorso.
Ma, per fortuna (se l'espressione conserva un senso in questo contesto) al di là di ogni conoscenza storica o scelta ideologica e - insomma - al di là di quanto gli uomini e le cose sembrano voler farci credere - rimane la scelta individuale con quel poco (ma non è mai poco!) che ne può conseguire in ogni occasione; anche nella nostra attuale che ci impegna in questi mesi durissimi né per difendere l'idea di una superiore "civiltà occidentale" né la fede di un fanatismo religioso acritico e violento - forse soltanto per ripetere il nostro piccolo "no" che può diventare grande accanto agli altri.

14 dicembre 2001

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ultimo aggiornamento: venerdì 14 dicembre 2001 22.59.55
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