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NO ALLA GUERRA - SEMPRE E COMUNQUE

Francesco Leonetti

In fondo noi sogniamo

Afghanistan 7 ottobre 2001


In fondo noi sogniamo -alcuni di noi- che le belle feste dell’89 siano rinnovate a volte, e in ciò siamo marxisti: i padroni ce li abbiamo sempre sul collo, e quella data è uno spartiacque della modernità (Oltre che essere cartesiani nel senso che: Aristotele o Galileo o la Chiesa io li rispetto ma contano come me: discutiamo insieme). Ora mi trovo smarrito. Il nuovo secolo comincia l'11 settembre 2001, imprevedibile e orribile;
per capire ciò che improvvisamente avviene, occorre citare vecchi amici. E dice Bertinotti: forse sarebbe più proprio parlare di una guerra civile mondiale. Si deve partire come lui dal principio moderno che tutti siamo uguali. Ed Eco raccomanda, nei momenti di grande smarrimento, come ora, "l'arma dell'analisi e della critica delle nostre superstizioni come di quelle altrui"… Ben detto, perché a guardare impotenti le americane marche globali con arroganze ben note, da una parte, e dall'altra non i selvaggi interpretati da Montaigne ma costoro, i "fedeli", con barbe di tot centimetri e le donne serve totali, produttrici tutte incapsulate, non ci viene in mano che la scepsi, l'atteggiamento del dubbio. Questa è forse una guerra del petrolio e dell'oppio? Forse è così, ma non basta a colmare l'assurdità. Forse c'è qualche connessione ancora oscura fra paesi con pozzi petroliferi e paesi poveri e sempre colonizzati dai "bianchi” che vogliono correre sempre più (con le automobili in grovigli e oggi con gli oggetti smaterializzati e pensanti)? Forse c’è, ma noi siamo superstiziosi a giudicare tutto con la critica dell’economia.
Rileggo uno scritto di Rossana Rossanda nel "Manifesto" del 22 settembre: "Tale è il peso del fallimento dei socialismi reali che alcuni di noi si sono persuasi che nulla ci sia da fare, tanto il male è nel mondo e il mondo è del male, mentre alcuni si sono illusi sulle virtù rivoluzionarie di identità arcaiche, che ci sono parse lodevoli perchè antimoderniste e tutte si sono involte su sè stesse, fra degenerazione e paralisi.”
C'è stata anni fa una netta differenziazione di Habermas fra la modernità -che vuol dire iniziativa spregiudicata- e la modernizzazione con i suoi processi recenti: la serie di vaccini, per i quali col circoletto sul braccio non andiamo esposti alla peste, noi grandi mangiatori di carni altrui, la catena del gelo coi frigoriferi, e, che dire? i velivoli. Ora però non c'è una semplice perdita di sicurezza, ma ben più: uno svuotamento della modernizzazione. Non abbiamo alternativa, e non abbiamo finalità. Si presenta a noi e in noi un conflitto che è storico fra i continenti (popoli, colonie, razze, etnie, e riti e valori e prodotti) con una polivalenza che ci atterrisce, aldilà della stessa divisione fra ricchi e poveri, e fra paesi e fra classi; come, nella specie umana, ridarsi un senso? Dopo gli dei certamente inutili, per noi, la modernità si è svolta in una follia. E’ diventato incerto il 1789 dei diritti. Ora lo smarrimento è grande – e forse solo l’autocritica è rigorosa.

10 novembre 2001
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ultimo aggiornamento: giovedì 8 novembre 2001 3.26.50
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