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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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NO ALLA GUERRA - SEMPRE E COMUNQUE

Luce Irigaray

La felicità va condivisa

Afghanistan 7 ottobre 2001


Il primo dovere democratico per gli uomini rimane ed è coltivare la felicità. Anche e soprattutto mentre stridono questi assurdi tempi di guerra e il mondo sempre più rimanda all'inferno."Lasciate ogni speranza o voi che entrate", apposto sulla porta di Dite da Dante , ben andrebbe oggi all'entrata del nostro pianeta.
Questa la posizione chiara di Luce Irigaray, incontrata a Sassuolo, nell'ambito del festival di Filosofia,dopo la sua conferenza su "la condivisione della felicità", e dopo solo dieci giorni dal disastro delle due Torri. Capelli cortissimi che, lasciando scoperta tutta la fronte, incorniano un ovale bello sempre; occhi serpeggianti e indagatori; abbigliamento sportivo,una gonna pantaloni; piglio sicuro, con qualche cedimento sbrigativo,nel comportamento, quasi a celare però una sua qualche intima fragilità .
Abbiamo scambiato con lei alcune battute, poche, ma sufficienti, con la sua ''lezione magistrale'', per questa possibile intervista.

- Come riportare il paradiso in terra?

Facendosi carico di una cultura che anteponga la felicità a tutto, anche al bene e alla verità. Gli uomini finora se ne sono privati, accontentandosi di surrogati.

- Perché?

In ossequio alla morale corrente, perpetrata efficacemente dal sistema educativo. Per questa morale gli adulti infatti credono di poter essere felici solo nell'aldilà e relegano la felicità nel passato o la proiettano nel futuro senza riuscire a concretizzarla nel presente

- Non ci sono eccezioni?

Solo i bambini sfuggono.Perché sanno istintivamente che la felicità viene da dentro. Ma il loro stato di grazia dura poco. Sono felici fino alla terza elementare e già in prima media, stando ai miei frequenti incontri con loro e studi su di loro, sono depressi.

-Un successo del nostro sistema educativo...

Sì, un sistema sbagliato, completamente da rifare. La morale che ne fa parte è qualcosa di imperativo a cui ci assoggettiamo per la società o per motivi religiosi.

- Quali danni procura sull'individuo?

E' fortemente repressiva per la nostra energia. Non c'è da meravigliarsi poi per l'aumento di violenza. Più si reprime il desiderio quindi la prima energia più si è violenti.

- Cosa fare dei nostri istinti e bisogni?

Innanzi tutto bisognerebbe conoscerli, e poi trasformarli in desideri che ci consentano una felicità più sottile e duratura.Insomma l'energia vitale deve trasformarsi in qualcosa che nutra il cuore, il pensiero, e ci faccia diventare più umani.La felicità deriva dalla nostra capacità di trasformare la nostra energia vitale in qualcosa che ci faccia diventare pienamente umani

-La cultura della felicità come cultura dell'interiorità...

Certo, da realizzarsi tramite la relazione e da arricchirsi con la condivisione.
Cioè bisogna innanzitutto ristabilire un rapporto con la natura. Questa deve diventare luogo di comunione non di dannazione. La natura ha tanta importanza che persino una variazione della qualità della luce incide anche sull'uomo Poi bisogna passare ad una condivisione delle energie diverse: bisogna essere in due. Anche l'energia sessuale non deve spendersi subito ma va coltivata perché si possa diventare più umani.

- Una vita che ci veda passare dalla bestialità all'umanità.Ma cos'è la vita?

La vita è una grande opportunità che dobbiamo coltivare per generare un di più di vita.
Invece la nostra cultura ci ha insegnato a fare della vita occasione di morte . Ecco... da un animale in vita tiriamo fuori una pelliccia, un oggetto senza vita.
Invece solo il sovrappiù di vita può procurarci la felicità.

- Come attivare questa cultura dell'interiorità?

Bisognerebbe vivere nel presente ma creando uno spazio tra questo e noi non nella semplice immediatezza. Uno spazio interno per contemplare. Anche un fiore, non basta guardarlo, ma bisogna contemplarlo con tutto il nostro essere, con gli occi, ma anche con le mani...
Si dovrebbe attivare uno sguardo non per possedere, ma per ospitare l'altro in noi stessi. Ecco, l'educazione dei sensi alla contemplazione ci rende più umani.La pratica di uno sguardo verso l'altro non di possesso ma di ospitalità in noi...porta alla felicità, tanto più se questo sguardo è condiviso.

- E nel rapporto d'amore?

Devo coltivare la mia attrazione il mio desiderio ospitare l'altro nella mia anima, nel mio cuore e rinunciare ad ogni possesso anche quando si fa l'amore.
DOVREBBE PREVALERE SOLO LA VOLONTà DI AVVICINARSI ALL'ALTRO, DI ACCOMPAGNARSI AL SUO CORPO E DIVIDERNE VITA E PENSIERO. lA FELICITà è CONDIVISIONE.

- La felicità come cultura dell'interiorità,in un ampliamento in crescendo dei rapporti di relazione tramite l'educazione dei sensi alla contemplazione, sempre più condivisa...Ma sarà possibile partendo dalla nostra realtà?

Certo, anche se non sarà facile. La nostra cultura è troppo mentale, non riesce ad essere una guida per la vita quotidiana, anzi è diventata un'attività specialistica, un gioco dello spirito (tanto varrebbe, però, una partita a scacchi...)e la filosofia è estranea a una felicità che implica i sensi...rimanda ad un soggetto solitario tutt'al più politico, non ad una relazione tra soggetti (c'è sì uno sforzo recente da parte di alcuni filosofi, ma è ancora paternalistico, astratto). La cultura e la filosofia hanno insomma escluso ciò che produce felicità

- Come potenziare la relazione tra soggetti, sviluppare una rete relazionale, in tempi così drammatici?

Strappandola al dominio della morale e inserendola nella cultura della felicità


21 settebre 2001 (a cura di Nadia Cavalera)


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ultimo aggiornamento: mercoledì 21 novembre 2001 2.38.08
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