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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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NO ALLA GUERRA - SEMPRE E COMUNQUE

Giorgio Celli

Dr. Bush e Mr. Bin Laden

Afghanistan 7 ottobre 2001


Mi considero un pacifista, non emotivo, un pacifista razionale. Di quelli che pensano che la storia insegni come le guerre servano a ben poco, se non a far morire dei giovani, e a produrre sempre delle gravi emergenze ambientali. Il rogo dei pozzi di petrolio incendiati in Iraq nel corso della guerra del golfo, non hanno di sicuro contribuito alla salubrità dell’atmosfera terrestre e le schegge delle bombe all’uranio impoverito alla buona salute dei bambini del Kossovo, che le hanno raccolte per giocarci.
Come pacifista, sono stato pieno d’orrore di fronte all’assalto terrorista contro gli Stati Uniti, e ho, al principio, apprezzato le parole di Bush, che chiedevano giustizia, promettendo un’azione di polizia contro i colpevoli.
Quando, però, tutto è finito in una guerra vera e propria, con lancio di missili e sganciamento di bombe a grappolo, eventi millantati come atti di guerra chirurgici, e quando, a smentirlo, le vittime civili hanno cominciato a crescere di numero, il mio assenso morale al popolo americano si è, dapprima affievolito, e ora è posto rudemente in forse.
Perché, almeno così sembra, non si mira più a far giustizia, ma vendetta, e dopo le dichiarazioni del Pentagono, della impossibilità di catturare Bin Laden, l’intervento americano è diventato una semplice rappresaglia, e su questo non posso essere d’accordo per nulla . Mi viene perfino il sospetto, che le vittime civili non siano il risultato di tragici errori ma siano state messe nel conto, a mo’ di una partita doppia riparatrice. E, soprattutto, per seminare il terrore, quel terrore che, a gran voce, si vorrebbe combattere e sradicare dal mondo.
Assistiamo così alla conclusione consueta di ogni scontro armato, al fatto che i contendenti si scambino i ruoli, e che per esempio, i lager vengano controbilanciati da Hiroshima. E che, infine, quel male perseguitato nel nemico, diventi a pieno titolo il nostro. In parole povere, ci troviamo di fronte alla metamorfosi del dottor Jekill in mister Hide, di Bush che si rispecchia in Bin laden.


Giorgio Celli

Bush e il Minotauro

la Stampa 19/9/2001


Dopo il bombardamento di New York, un evento che ha gettato tutti nella costernazione e nell’angoscia, dopo le migliaia di vittime colpevoli soltanto di essere nel posto sbagliato al momento giusto, per i terroristi si intende!, ho appreso per tv che molti cittadini statunitensi invocano non tanto giustizia, quanto una rappresaglia esemplare, e chiedono a gran voce al loro presidente di bombardare l’Afganistan, e se muoiono delle donne e dei bambini, peggio per loro. Non è successo, forse, lo stesso per quelli che si trovavano nelle due torri gemelle? La cosa, a pensarci bene, è comprensibile, perché quando dobbiamo subire un atto di ferocia come quello che ha colpito la Grande Mela, si sogna subito di ricambiare la ferocia con una eguale ferocia, se non con una ferocia ancora maggiore. Purtroppo, la storia ci ha insegnato da tempo come la barbarie sia contagiosa, e come la peggior cosa che possano farci i nostri nemici sia quella di renderci sempre più simili a loro. La dialettica schiavo-padrone, oppure vittima-carnefice, di hegeliana e sartiana memoria, comporta che le due figure, al vertice della loro interazione, diventino permutabili, l’una evoca nell’altra l’emulazione e l’identificazione. La fucilazione di un disertore o il massacro di ostaggi prelevati a caso per strada, vanificano gli ideali che ci si era riproposti di difendere, e il significato più nascosto del labirinto di Cnosso, mi sembra fosse questo: chi uccideva il Minotauro, doveva sostituirlo. Difatti, nel momento della sua esecuzione, il mostro si trasformava nel suo uccisore, l’eroe, apportatore di civiltà, nella bestia con la testa di toro, divoratrice di vergini e di bambini. Non c’è pezza: una società che applica la pena di morte, abolisce la differenza tra il criminale e i suoi giudici, rendendoli suoi pari. Sembra che, durante la crociata contro gli Albigesi, gli abitanti della città di Bezier, espugnata dai difensori della fede, si fossero rifugiati, cristiani ligi ed eretici, nella cattedrale. Simone di Monfort, che comandava i crociati, non esitò a far passare tutti a fil di spada, e quando il vescovo della città gli fece notare che i Catari erano soltanto una parte degli uccisi e che gli altri erano cristiani devoti, il rude capitano di ventura gli rispose seccamente: “ Io li ho fatti fuori, Dio riconoscerà i suoi!”
Mi sembra che l’America si trovi oggi davanti alla cattedrale di Bezier: che cosa farà? Sceglierà la vendetta o la giustizia? Entrerà nel labirinto di Cnosso per uccidere, oppure per punire, rifiutandosi di imitare i terroristi nel gioco al massacro? Non dico che bisogna cristianamente porgere l’altra guancia, e neppure che uno schiaffo valga un altro schiaffo. Dico che la cosa migliore è fermare, e non tagliare, la mano che ci ha colpito. Perché, ci si pensi bene, come si può agire invocando la civiltà e l’umanità offese, se, in loro nome, le offendiamo a nostra volta?

Giorgio Celli

Che la polizia pratichi dei metodi

la Stampa


Che la polizia pratichi dei metodi, a dir poco, sbrigativi, non è cosa che dovrebbe stupire nessuno, perché la violenza la si può' combattere solo con la violenza, non c'è pezza. In forza della specularità e della fungibilità dello schiavo e del padrone, e della vittima e del carnefice, di hegeliana e sartriana memoria, la peggior cosa che possano farci i nostri nemici, è quella per cui, se vogliamo vincerli, dobbiamo diventare come loro. Per esempio, i nazisti hanno fatto tanto male agli ebrei che li hanno resi sempre più simili a loro, e le tragiche notizie che ci giungono ogni giorno dalla Palestina possono servire a suffragio. Pero', la polizia, questo è il punto, se è costretta ad usare il manganello, dovrebbe manovrarlo per reprimere, e non per punire, perchè non è compito suo. Non è vero che le leggi di tutti i paesi civili hanno proscritto, per lo meno ufficialmente, le pene corporali? Ho visto, invece, nei filmati del G8 in tv, un dimostrante, seduto al suolo e con le mani sulla testa, che veniva tempestato di colpi di manganello. E' possibile che, solo un minuto prima, il castigato avesse lanciato dei sassi, o peggio, pero' si era, per dir cosi', arreso, e avrebbe dovuto passare direttamente dalle mani della polizia a quelle del giudice, senza dover subire una pena preliminare. Si dirà che anche i poliziotti sono uomini, e che, come tali, possano perdere la testa. Lo capisco, ma se è vero che chi fa il cameriere ha il dovere di non essere sgarbato con il cliente anche se ne ha le scatole piene, il poliziotto o il carabiniere che non hanno i nervi saldi, non sono adatti a fare il loro mestiere. Il loro addestramento dovrebbe prevedere non solo che sappiano sparare, ma che siano capaci di conservare il proprio sangue freddo anche nelle più dure emergenze. Se un giovane carabiniere non spara prima in alto, e alle gambe, come dovrebbe, ma dritto alla testa quando si sente minacciato nella vita, la colpa non è tutta sua. E' anche di chi l'ha mandato armato e sprovveduto nell'occhio rovente di un'eversione di piazza. Ho appreso ieri, con disagio, dalla tv, che il povero Giuliani sarebbe stato visto da un testimone oculare mentre compiva degli atti violenti prima di essere abbattuto. Non ho difficoltà a pensare che la testimonianza sia veritiera, ma non so proprio a che cosa possa servire. E perché i media la divulghino con tanta enfasi. Si intende, forse, giustificare cosi', l'esecuzione del giovane? Debbo pensare che nel nostro paese si voglia promuovere non soltanto la pena di morte, ma la giustizia sommaria?
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ultimo aggiornamento: giovedì 29 novembre 2001 0.43.51
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