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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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FESTIVALFILOSOFIA 2003 sulla vita


Il munus e l'immunitas dei cittadini globali e le "vite invisibili" degli svantaggiati

Riflessioni a partire dalle lezioni magistrali di Saskia Sassen e Roberto Esposito

di Ignazia Bartholini

Modena - Carpi - Sassuolo | 19 - 20 - 21 settembre 2003


Una tendenza collettiva attraversa il nostro tempo globalizzato: quella di un generale ripiegamento nel locale, che potenzi le differenze, con il rischio di attivare nuove recrudescenze etnocentriche. Il fenomeno della globalizzazione ha avuto l'effetto di arroccare le identità nazionali di quegli Stati che si considerano i più forti grazie alla loro economia, rafforzando così la dicotomia "noi-loro", "cittadini-stranieri". Gli uni tutelati dal diritto, gli altri senza diritto. Gli immigrati - ha detto Saskia Sassen - non sono soggetti che esistono a partire dalla legge. Sono, di fatto, portatori di elementi parziali di legalità. Perciò, in qualche modo, la legge è la rappresentazione di una cultura che distingue gli appartenenti dai non-appartenenti, fuoriuscendo direttamente dalle matrici violente dei nostri ancestrali presupposti di senso; che vedono nell'ospes l'hostis ; che sanciscono simbolicamente i confini di una comunità che esclude l'altro-immigrato, rendendolo invisibile.
Max Weber nel secolo scorso ha affermato che una relazione sociale è definita "comunità" se, e nella misura in cui la disposizione dell'agire poggia su una comune appartenenza , soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale), degli individui che ad essa partecipano. Zigmund Bauman, nel nostro tempo, ha invece chiarito che "le identità "comunitarie", che si suppongono condivise, sono in realtà i sottoprodotti di una febbrile attività di tracciamento di confini" . Ciò perché, come ha esplicitato Roberto Esposito, nella sua matrice originaria, la comunità contiene un munus , un pegno, quello dell'appartenere-a che, al contempo, lo immunizza-da. In quanto parte di un gruppo, di un'etnia, di una comunità, l'individuo ne è membro, contraendo un debito nei confronti di quella stessa cultura gruppale, etnica, comunitaria, che gli ha fatto il dono del potersi riconoscere in essa. Ma l'appartenere implica anche il possedere, io appartengo ad un gruppo dal quale ricevo un nome originario, un battesimo della terra, un segno che mi immunizza dal male, dal dolore del disconoscimento e fa si che io stesso attivi procedure di disconoscimento verso i non appartenenti. Chi vive nella sua terra, circondato in maggioranza da uomini che condividono l'appartenenza ad una pólis ha il donum-munus di un'identità nazionale fatta di sentimenti e valori coerenti con il senso della continuità, ricordi condivisi e il senso di un destino comune. Tale donum-munus ha però anche il potere di trasformare i non-appartenenti alla comunità dello Stato nazionale in dei coloni dello Stato multietnico e, talvolta, nei "devianti della società globalizzata". Il donum , l'identità-dono di individui accomunati fra di loro, si trasforma perciò stesso in un munus , un obbligo che si è contratto nei confronti dell'altro-uguale a-noi, che sollecita ad un'uguale disobbligazione. Il munus che la communitas condivide è un vaccino contro il diverso. L'immunitas presuppone la presenza del male che deve contrastare.
Il diritto , che sancisce il limite fra ciò che è mio e ciò che non mi appartiene, evidenzia la necessità di un dono non estendibile a tutti e a chiunque e, in tal modo, posta l'accento dal munus che aggrega gli appartenenti ad un gruppo all'immunitas che protegge la vita comunitaria, fissando l'esatta misura della lontananza dai non appartenenti-a . Perché il diritto, nella sua funzione immunizzante - della comunità e dalla comunità - assume la funzione stessa del proprium . E ciò anche a prescindere dal fatto che si tratti di diritto privato o di diritto pubblico: in ogni caso esso è proprio, nel senso che 'appartiene' al soggetto pubblico o privato, che se ne dichiara portatore. Il problema dell'effettiva congruenza fra democrazia e uguaglianza negli stati plurietnici non riguarda solo la ragion pratica, ma anche i livelli subliminali della coscienza. L'oiko-logizzazione della pòlis fa emergere la concreta patologizzazione delle forme di immunizzazione societaria, con le quali la pura constatazione della con-vivenza mi rende immune dagli altri, legati a me esclusivamente dalla statuizione giuridica. Ma è proprio il munus identitario di chi vive altrove a reclamare un riconoscimento da parte di tutti gli altri coinquilini della pòlis oiko-logizzata . Il segno di riconoscimento fra appartenti alla stessa cultura deve trasformarsi in un donum-munus per gli appartenenti alle altre culture. Se sul piano sincronico l'identità immunitaria di coloro che si sentono parte di una Gemeinschaft è una sorta di garanzia che ci preserva dall'attacco degli altri e ci fa riconoscere quali membri di un gruppo, su quello diacronico disvela un mito, un evento originario in grado di polarizzare le tensioni o le aspirazioni di una comunità. L'ospite non voluto, lo straniero, è perciò stesso il nemico.
Il sentimento di appartenenza che si realizza nella comunità immunizzata, non potrà che condurci a nicchie identitarie, a paradisi tanto invidiabili quanto artificiali. Come scrisse Max Weber, non c'è nessuna comunità di senso, incluse quelle legate dal più illimitato sentimento di dedizione, come per esempio una relazione erotica o caritativa, che non possa racchiudere in sé, nonostante quel sentimento, l'oppressione più priva di riguardi di altri individui. Per questo appare improbabile ogni immunizzazione che possa escludere ad oltranza dall'interno i non appartenenti alla comunità. Ciò significa che dovremmo fare a meno di prescrivere e tutelare, in quanto occidentali, una qualche concezione del bene, indicando così una qualche scala di valori immunizzanti.

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ultimo aggiornamento: mercoledì 24 settembre 2003 19.11.30
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