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Recensione


Salentudine

Recensione di Gerardo Trisolino



La toponomastica del Salento è in ordine rigorosamente alfabetico nei nonsense di Salentudine della "Galatea", pseudonimo prediletto di Nadia Cavalera.
Da "nu tata ti Acquarica" a "nu tampagnu ti Miscianu" a "na formicula ti Zullinu": la rassegna della geografia lirica e onirica, giocosa e ironica della Cavalera attraversa tutto il Tacco, dando un'anima perfino alle cose inanimate ("na bbàscula ti Castrignano ti lu Capu", "nu traìnu ti Minervinu", "na fòkara ti Taurisano", "nu rsulu ti Veje").
Salentudine è lo specchio di una intellettuale vulcanica e stravagante, nel senso etimologico del termine. Non è senza ragione che il lungo e sperticato sperimentalismo della poetessa di Galatone (la sua prima raccolta Amsirutuf: enimma risale al 1988, nelle edizioni Tam Tam), quel suo "superrealismo allegorico", abbia fatto il giro del mondo (ospitandone il lessico) per approdare infine (ma senza tuffi nostalgici) alla subregione natìa, alle prese con il "grado zero della scrittura" rappresentato dal dialetto. Un itinerario tutto votato a travolgere e a stravolgere i luoghi comuni, la banalità della scrittura, l'uniformità del ritmo e dello stile, i topoi della lirica cortese e a inventare nuovi linguaggi, seguendo gli influssi della neoavanguardia (si veda, in particolare, Vita novissima del '92).
Nel suo centralissimo appartamento modenese, in una fugace e improvvisa visita che le feci nel maggio dell'anno scorso, mi colpirono le icone naturali del Salento esposte come opere d'arte: ceppi di vite, tronchi d'ulivi, sterpi, pietre, terra rossa…
"Se parlare della ricerca e della sperimentazione del nuovo, nella prospettiva di un discorso di avanguardia… ha ancora, oggi, un senso, allora il punto di riferimento ha da essere un'opera come Brogliasso scriveva Barberi Squarotti nella sua testimonianza critica a quell'opera pluristratificata e a double face uscita nel '96.
Ma basterà citare Adriano Spatola, Gianni Toti, Edoardo Sanguineti per comprendere di cosa stiamo parlando. E proprio con Sanguineti la Cavalera dirige dal '90 la rivista "Bollettario" (oggi on line), da quando cioè lei emigrò da Brindisi a Modena, portandosi nella valigia del cuore il progetto di una rivista nata in terra messapica nell'aprile 1988 col nome di "Gheminga", "bollettario quadrimestrale di letteratura". Una stella che brillò per un solo anno, a dispetto della ingenua lungimiranza di quei poeti che volevano illuminare a vita una "provincia addormentata", ricaduta poi nella sua ancestrale apatia e abulia.
Salentudine è, dunque, una rêverie salentina dolce e insignificante come un'antica nenia. La lingua materna vibra di altri rimandi e si riduce a puro significante, come in certi scioglilingua popolari. Le 103 città del Salento citate negli altrettanti componimenti sono solamente un pretesto per una cavalcata a briglia sciolte nei territori reali e surreali depositati nella memoria. Un vigile abbandono al puro e intelligente piacere di una breve fiaba a rima baciata: ogni componimento è rigorosamente composto da cinque versi che s'accoppiano a due a due, mentre l'ultimo è quasi l'eco del primo, tanto per chiudere il cerchio. E stupisce questa ordinata architettura in un'artista finora anarchica.
Delle fiabe queste misurate filastrocche hanno l'incipit canonico: "Nc'era". Il guizzo sapido del gioco linguistico e dell'assurdo, che molto sarebbe piaciuto anche a Gianni Rodari, costituisce l'impronta digitale di Nadia Cavalera.


Nadia Cavalera
Salentudine
Marsilio, 2004




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ultimo aggiornamento: mercoledì 27 aprile 2005 17.41.11
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