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Recensione


Presentazione

di Marcello Strazzeri

da Palazzi di Brindisi


Un lavoro singolare per più aspetti, questo di Nadia Cavalera sui palazzi di Brindisi, una indagine culturale in senso ampio non soltanto anche se privilegiatamente. storiografica, nel duplice significato di una ricerca storica di tipo antropologico che coinvolge cioè tutti gli aspetti della vita d'una comunità quella brindisina e non solo le vicende politico militari; e di una visione brechtiana della. conoscenza. della storia intesa come capacità di progettazione sociale e politica.
Vediamo innanzitutto la strutturazione del libro, il quale è articolato in tre sezioni: un agile profilo storico della città, la parte centrale dedicata ai palazzi, ed in appendice una scelta di articoli giornalistici della Cavalera su Brindisi.
Nella prima sezione, con una scrittura piana ed accattivante che è già primo suggerimento ad una utilizzazione didattica del lavoro pure indicata da altri elementi, l'autrice traccia uno spaccato di storia locale che a mio vedere ha due meriti: il primo consiste in questo, che esso sfuggendo alla tentazione ed al rischio di una enfatizzazione delle vicende locali tende ad avvalorarle, come elementi di una storia generale o a valutarle come riflessi di essa; il secondo è che tale spaccato costituisce il quadro di riferimento per la lettura dei palazzi, per la quale rappresenta organico e necessario supporto anche con continui puntuali rimandi che si incrociano far le due sezioni. Un profilo agile ed accattivante, dicevo, ravvivato ulteriormente dall'innesto sull'impianto scientico di leggende e tradizioni nelle quali il lettore più attrezzato individuerà gli elementi di autograficazione o di autolegittimazione che sempre un popolo affida al proprio patrimonio mitologico e lo studente invece un allettamento alla lettura.
La sezione mediana, che dà il titolo al libro è quella centrale e più originale; formalmente, essa è costituita dalla presentazione dei 40 più significativi storicamente e cospicui architettonicamente palazzi di Brindisi. Di ciascun edificio vengono sinteticamente presentati le caratteristiche fisiche e i dati anagrafici, e per circa la metà di essi si innesta sulla descrizione estrinseca un racconto storico letterario relativo alle vicende più spesso ad un singolo personaggio a quel palazzo legati: si tratta di lacerti storicamente fondati ma con uno sviluppo o svolgimento inventivo nei quali l'autrice rivela marcata sensibilità a leggere gli aspetti psicologici ed i risvolti sociali degli avvenimenti, la loro dimensione quotidiana e famigliare. L'insieme dei frammenti, del genere storico letterario (oggi di grande successo, e basti ricordare quello straordinario prodotto commerciale di elevatissima qualità che è “Il nome della rosa”) risulta noti solo omogeneo ma anche organico, perché fornisce un quadro unitario ed articolato della storia di Brindisi e soprattutto adotta la città come osservatorio di vicende più ampie, analizza nel microcosmo d'un centro di provincia (che però, si badi, ha avuto momenti di centralità rispetto a contesti anche molto ampi: la presenza del re e del governo d'Italia durante l'ultima guerra mondiale, ad esempio; o per richiamare un'esperienza più rilevante, il periodo di romanizzazione dell'Italia meridionale: momenti che, va sottolineato, la Cavalera guarda con misura e mai enfatizza) la storia nazionale e sovranazionale. Così, mediante questa invenzione degli avvenimenti visti attraverso i palazzi, ci passano davanti agli occhi non grandi e piccole vicende bensì piccole vicende rappresentative, esemplari delle grandi. Palazzo Ripa diviene l'occasione per ricordare la sanguinosa e truce rappresagli di Filippo Ripa che nel 1346 assoldò un migliaio di armati per eliminare il rivale Enrico Cavaliero ed i suoi famigliari e famigli, e compiuta la strage nemmeno il governatore angioino riuscì ad impedire che una parte della città fosse saccheggiata e rasa al suolo dai mercenari: esempio questo di quanto fosse debole la burocrazia statuale ai confini del regno. E Palazzo Scolmafora è il pretesto per ricostruire l'episodio di ribellione che nel 1647 anticipò la più nota rivolta napoletana di Masaniello, come questa indotta dall'eccessivo fiscalismo spagnolo e parimenti covata e scoppiata alle «Sciabbiche», nell'ambiente della gente di mare; e l'illuminismo napoletano viene ricordato attraverso Palazzo De Marco, uno dei cui proprietari, Carlo, fu intelligente riformatore in un governo dei Borboni. I quali tornano ovviamente spesso in queste ricostruzioni, soprattutto nella fase del loro definitivo declino e della repressione preunitaria, quella ossia nella quale ciascuna comunità locale espresse «santi ed eroi» che se non altro servirono a giustificare la rigida sorveglianza poliziesca da una parte e le reazioni altrettanto odiose talora inconsulte dei liberali: è il caso, legato a Palazzo Pignaflores, della condanna a morte con immediata esecuzione d'un povero cristo di sagrestano il quale aveva chiesto di affiliarsi alla setta liberale dei Filadelfi, che sospettarono però che si trattasse d'un tentativo di infiltramento.
La storia dei palazzi è ancora l'occasione per delle agili ma significative ricognizioni nel complesso fenomeno del brigantaggio pre e posi unitario, del quale la Cavalera coglie non solo i noti collegamenti con i Borboni (si veda l'episodio del saccheggio d'una masseria di proprietà dei nobili Catanzaro al grido di «Viva Francesco II, abbasso Vittorio Emanuele»), ma anche quelli meno indagati con i liberali (come l'autrice documenta a proposito di Giovanni Crudomonte) e quelli più oscuri con il clero, diversi rappresentanti del quale erano a capo di bande di briganti: l'arcidiacono Zuccaro a Nardò, il prete Gaspare Vergine a Corigliano, l'ex monaco Vittorio Capocelli a Salice, l'ex prete Ciro Annicchiarico a Grottaglie, l'arciprete di Surbo il quale celebrava la messa vestito da brigante e fu arrestato a Matino in chiesa mentre distribuiva la comunione.
I palazzi dunque costituiscono il pretesto per una rielaborazione letteraria di eventi significativi della vita brindisina del passato remoto ma anche recente, e che sono inoltre un piccolo e prezioso contributo alla ricostruzione della storia nazionale. Non si creda con ciò che la Cavalera sia attenta solo al recupero delle memorie, ché anzi l'autrice secondo la visione brechtiana della storia che prima richiamavo continuamente la riferimento alla dimensione dell'oggi, in particolare per quanto concerne lo stato, la conservazione e la possibilità di restauro e di utilizzo di alcuni degli edifici presi in esame; certamente, anche questa è una delle chiavi di lettura del libro: un grido di allarme per il degrado di molte strutture, per l'incuria di chi dovrebbe occuparsene, una calda sollecitazione a salvare quello che è possibile e si ha il dovere di salvare. Soprattutto nella terza sezione del volume, che raccoglie gli interventi sul «Quotidiano» relativi agli stessi argomenti affrontati nella parte iniziate oltre che su temi del costume e del folclore nel Brindisino, rileva la passione civile di Nadia Cavalera, il suo intervento perché un patrimonio architettonico, di cultura e di civiltà non soltanto non vada lasciato al lento inesorabile degrado provocato dal tempo e dall'incuria ma vada recuperato in termini di utilizzo sociale.
Un grido d'allarme dunque, un appello (particolarmente significativo allorché non riguarda castelli e palazzi sui quali almeno a parole è facile trovare il consenso generale bensì strutture più recenti e ancora in discussione: è il caso degli apparati vetero industriali della Montecatini) ma soprattutto un atto d'amore per la propria terra dichiarato non in modi oleografici e retorici né con inani lamentazioni da prefica ma con una ricostruzione scientificamente fondata, denunce circostanziate, proposte praticabili.





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ultimo aggiornamento: lunedì 20 settembre 2004 12.05.25
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