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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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L'arte delle donne, a cura di Laura Iamurri e Sabrina Spinazzè

La difficile Arte delle donne

di Nadia Cavalera

Modena, 16 Agosto 2002


Prima fu Lea Vergine a sollevare il telo impietoso gettato loro addosso da una cultura dominante, imbevuta di irrazionalismo (da Schopenhauer a Weininger passando per Nietzsche, Spencer...), nutrita di atavico maschilismo (la donna era considerata priva di intelligenza, puro istinto, "avanzo di barbarie" ), aggravato dall'angoscia contingente dell'uomo "culturalmente piccolo-borghese, machista e mediterraneo, davanti all'aggressività del femminismo di quegli anni" (Lista) . Una cultura che coltivava un freddo protagonismo di parte, sessista, camuffato in tutti i modi, anche avveniristicamente fiabeschi.
E nel 1980, grazie alla sua mostra e relativo catalogo, veri "colpi di cannone" per annegati, balzò finalmente a galla, "l'altra metà dell'avanguardia", "la creatività impedita nel suo dialogo", un "lazzaretto di regine", un "continente abbandonato", un "enorme provincia di ingegni", passati "dalla cronaca all'eternità senza storia": la "metà suicidata della creatività" del Novecento . I fari accesi finalmente sulle donne delle avanguardie storiche, per tentare di scoprire "i motivi di tanta censura, dello sbaragliamento, dell'eliminazione - o quasi - di personalità così poliedriche". Non semplici "pedine/ancelle irregolarmente immatricolate", neppure "personaggi vicari" o "personalità succedanee", ma "sperimentatrici geniali" testimoniate dall'indubbio valore delle loro opere, anticipatrici del futuro (Vergine).
Un esempio tipico è la spregiudicata Rosa Rosà, pseudonimo di Edith von Haynau per cui vita era uguale ad arte. D'origine viennese, ma stabilitasi a Roma dopo il matrimonio con lo scrittore Ulrico Arnaldi, oltre a tavole parolibere, quadri e sculture, realizzò oggetti in ceramica, calendari, carte geografiche, tessuti, e soprattutto amò particolarmente le illustrazioni, nelle quali, grazie anche al simbolismo e decadentismo, di cui si nutriva abbondantemente, ha precorso il surrealismo, nel mistero di certi suoi sfondi, nell'abbandono all'incoscio di alcune sue scritture, quasi automatiche.
Così Rougena Zaktova (d'origine boema, italiana per scelta ), allieva di Balla, che, pur non identificandosi con alcun movimento, creò un suo proprio originale linguaggio di grande vigore comunicativo, e aprì la strada al suprematismo-costruttivismo russo, sviluppando una remota propensione espressionistica, coi suoi lavori carichi di colore, forza, di violento dinamismo, nella moltiplicazioni di piani luminosi (si veda Il ritratto di Marinetti), coi suoi plastici polimaterici, coi quadri-sensazioni fatti anche di perline, carta velina, stagnola, vetro, cartone, o con le pitture luminose, che, per qualcuno, anticipano la pittura informale degli anni Cinquanta .
Anche Benedetta (compagna prima e moglie poi di Marinetti) pur non essendo una pittrice professionista, fece da tramite per l'astrattismo, (ruolo però che non le si riconosce ancora) e, tra l'altro, fu scenografa, autrice di romanzi (in cui ha tentato nuovi percorsi espressivi), di tavole parolibere, di sintesi grafiche, e da giovane aveva prodotto tavole tattili e illustrazioni sintetiche di immediata fruibilità e impatto emotivo.
E come non citare, anche Alma Fidora con le sperimentazioni di motivi astratti lungo l'antica tradizione femminile del lavoro ad ago? ( Attiva poi nella pittura e nelle arti applicate come aeropittrice). O la straodinaria Wanda Wulz legata alla fotografia (indimenticabile il suo Io +gatto), e Barbara di Novara (ancora vivente, e femminista militante) per l'aeropittura "spontanea" quale frutto della sua passione congiunta per la pittura e il volo?
Giusto pochi nomi, e limitandoci, tra le avanguardie storiche, al futurismo, oggetto, in una panoramica sul Novecento, di attento riesame ne L'arte delle donne, edito da Meltemi. Pochi nomi, sufficienti per comprendere però l'importanza delle loro opere.
Solo a volerle considerare. Ed è qui il punctum dolens. La Censura. La critica è sempre stata gestita quasi esclusivamente da maschi, evidentemente anche sensibili alle gerarchie tradizionali, per cui ha priviligiato solo maschi, anche quando un Tzara designò inter pares i "presidenti" e le "presidentesse" del suo movimento dadaista. Anche quando, nella bibliografia critica di Cercle et Carré, "la presenza del modesto Russolo" fu anteposta a quella di Aleksandra Ekster (Lista, 1980), indefessa sperimentatrice di forme e colori, in ogni ambito artistico, e, con i suoi frequenti spostamenti in Europa, anche tramite di informazione culturale determinante.
Normali omissioni e mistificazioni, ai nostri giorni, bisogna riconoscerlo, ancora ampiamente praticate, e con aggravanti varie (talora una critica femminile manovrata, così da annullare qualsiasi alibi) su cui non è il caso qui di soffermarci.
Patetiche storie di metà dell'avanguardia e dell'arte? Sì, direbbe pronto Achille Bonito Oliva, convinto com'è che "è l'opera che deve possedere la forza di affermare la propria presenza in un panorama di opere concorrenti, al di fuori di motivazioni sindacali di partecipazione quantitativa" . E ancora e soprattutto che "l'opera soltanto stabilisce per qualità interna la sopravvivenza a prescindere dalla biografia del suo autore". Posizione questa perfettamente condivisibile e da me condivisiva. Ma perché poi, quando ha presentato a Modena (alla galleria Mazzoli, nella primavera scorsa), quattro pittrici (Accardi, Lemieux, Trockel, Zemborain), invece di farlo semplicemente, glissando sul loro sesso, in realtà lo ha sottolineato abnormemente? Già il titolo della mostra Four artistæ con l' incuneamento della vocale a nella parola artiste, suscita perplessità confermata dal corpo della presentazione in catologo, dove si spiega il funambulismo grafico fonetico (che coinvolge anche arte da artæ), quale " tentativo di documentare presenze produttive capaci di dissolvere la propria identità femminile in un universo di opere, di competenze tra loro con altre opere di varia provenienza biografica: come la diversa articolazione di artæ si scioglie nel mare magnum di una produzione più generalizzata che si pronuncia arte". Il termine "tentativo", più il contorsionismo linguistico, che rimanda allegoricamente a quello reale cui sono sottoposte le donne per essere consegnate al mondo dell'Arte, sono indici di fatto del profondo imbarazzo, se non proprio disagio, da parte del critico, peraltro (per altro?) sensibile e attento, a trattare l'argomento (credo, espressamente richiesto, in quanto in concomitanza con altre iniziative sulle donne, qui in città). E non c' è da meravigliarsene. Già per Minimalia (l'ultima mostra di Bonito Oliva, che ho potuto vedere, nel 1997, a Venezia), su 44 artisti, due sole erano donne: Dadamaino e Accardi. E in Transavanguardia: Italia /America, a Modena nel lontano 1982, (stando ad un catalogo reperito in loco), nemmeno una donna. D'altronde è una pratica diffusa. Novecento, la mostra allestita alle Scuderie del Quirinale, e curata da Maurizio Calvesi, nel 2001, su 130 artisti ha presentato solo 5 donne, salvo poi riservare loro tutto un vivaio a parte... Una decantazione anche quella per probabile futura sessuale dissoluzione/epurazione e pronto aulico trapasso in braccio all'Arte che non ha sesso in natura ma si coccola quello storico legato alla cultura? Ma possibile che solo ai maschi competa il genio e il talento dell'artista di serie A? Sarà forse un fatto di compensazione genetica da parte della Natura per la loro condizione di castrazione procreativa, di fatto, (andrebbe forse rivisto il noto complesso) limitandosi la loro prestazione ad un fattore, diciamo "concorrenziale", "complementare", in alcune specie superabile, con la partenogenesi? O sarà un caso di repressione, con esclusione e oppressione regolarmente protratta e variamente mascherata nei secoli dei secoli? Così è.
Come può fare un'opera, tutta androgina come la si vorrebbe (e come la mettiamo col "sapere situato" di Donna Haraway?), ad imporsi quando, sistematicamente, per partito preso, non diventa oggetto di attenzione, di considerazione, e talora addirittura si congiuri per il suo annullamento, prova provata del suo indiscusso valore? Ci si affannerebbe a distruggere ciò che non vale, visto che si vanificherebbe da sé col tempo?
Ben vengano, a questo punto, tutti gli studi sull'arte delle donne, che, dopo Lea Vergine, di pari passo, ad una loro maggiore presenza, quasi un boom, in questo ambito (che va tenuto sotto controllo perché potrebbe trattarsi di una moda, anche il Padiglione e il Leone d'oro alla 48^ Biennale...concordo con Emanuela De Cecco) , si sono sempre più intensificati. Sino ad arrivare, nel 2001, nella cornice della manifestazione di Novecento Donna, (promossa dal Ministero per i Beni e le attività culturali) al convegno, Donne e arti visive nella cultura del Novecento, (organizzato dall'Associazione Nazionale Storici dell'Arte), che ha cercato di fare il punto della situazione. Se ne possono leggere gli atti nel già richiamato L'arte delle donne, che in 20 agili saggi delinea il grande attivismo femminile, non solo in ambito strettamente artistico (dai primi del Novecento alle decostruzioniste ante litteram degli anni Sessanta e Settanta e alle ultime, però sommarie, esperienze degli anni novanta) , ma anche nel mondo che gli ruota attorno: l'associazionismo, l'animazione di importanti centri culturali (Milano, Roma), il collezionismo. Non mancano testimonianze dirette di artiste, di protagoniste della critica, uno spericolato quanto utile confronto tra Virginia Woolf e Benedetta (Giachero), cronache di incontri con le futuriste. E il periodo del futurismo, col primo ventennio, è il tema che raccoglie più interventi (Zoccoli, Bentivoglio, Salaris, Spinazzè). Dai quali emergono chiare le caratteristiche di queste artiste. Lasciatemele qui riprendere, in generale, per un piccolissimo personale omaggio, di parte.
Innanzitutto erano molte. Oltre le già menzionate, voglio ricordare: l'ingenuamente candida Marietta Angelini col suo devoto Numero 1, dedicato a Marinetti, tra nastri forcine e storie di galli e tacchini; l'iconoclasta Emma Marpillero di Silenzio-Alba; Irma Valeria, autrice fino al 1984 di le nuvole colombe; Alzira Braga e il suo tema costante del vento; le silhouettes intagliate nella latta di Regina; I numeri in libertà di Maria Ferrero Gussago e quella ics ricorrente, quale simbolo di moltiplicazione; le scenette satiriche di Fulvia Giuliani; Maria Ginanni, che fa ginnastica mentale con l'algebra, poi diventa firma di spicco dell'Italia futurista; l'indipendente ad oltranza Eva Kuhn e la sua lotta contro i manicomi; la ballerina Giannina Censi; Adele Gloria, ribelle fino alla fine con due gatti e una branda in una casa spoglia; Enif Robert, col suo esaltato romanzo di sensazioni chirurgiche, Un ventre di donna, scritto a quattro mani, con Marinetti .
Erano poi quasi tutte di estrazione sociale borghese; non formarono mai gruppo; non ebbero contatti tra di loro; molte hanno pubblicato su L'italia futurista (1916/18); spesso hanno adottato uno pseudonimo (probabilmente perché, come scriverà la Woolf in merito, per loro l'entrata nel futurismo, era una seconda nascita); erano diverse dai colleghi maschi. E se aderirono al loro movimento misogino, fondato sul disprezzo della donna, inneggiante alla guerra "sola igiene del mondo" probabilmente sarà stato perché catturate dal magma energetico e dinamico della loro fede, che le illuse circa un possibile cambiamento totale, e un rinnovamento personale, che le riscattasse da secoli di sacrifici, di abnegazione, di sottomissione. Non sarà un caso infatti che cominciarono ad aderire quando il futurismo dal periodo distruttivo passò all'elaborazione di un suo preciso progetto di vita, con la Ricostruzione futurista dell'universo (non per questo migliorando certe scelte di fondo, molto contestabili ancora oggi e da me contestate).
Diverse l'una dall'altra, per stili, ispirazioni, condividevano però l'entusiasmo, l'audacia fisica, un senso di sfida costante, la spregiudicatezza morale, l'anticonformismo, la ricerca di una loro nuova identità, in un ascolto interiore costante.
Hanno condiviso anche la damnatio memoriae.Temporaneamente.


L'altra metà dell'avanguardia, 1910-1940, a cura di Lea Vergine (Mazzotta editore, 1980)
L'arte delle donne nell'Italia del Novecento, a cura di Laura Iamurri e Sabrina Spinazzè (Meltemi, 2001)
Four Artistæ a cura di Achille Bonito Oliva (Emilio Mazzoli, 2002)



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ultimo aggiornamento: mercoledì 4 settembre 2002 14.38.58
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