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ESTRATTO


Julien D’Abrigeon e la semiosi illimitata

Ilaria Vitali

Bollettario n°40


Nato nel 1973, Julien D’Abrigeon è uno dei fondatori di Boxon, rivista letteraria che si propone di indagare tutte le possibilità irrisolte e inesplorate della poesia.
Quella di D’Abrigeon è poesia sonora così come visiva, impossibile scindere il testo dalla sua rappresentazione sonora e grafica, essenziale nella decodificazione e nell’attribuzione semantica. Si tratta altresì di poesia in movimento, poesia mobile, animata, che fa di D’Abrigeon un autentico action-writer.
Così come Bret e Cabut, anche D’Abrigeon è un performeur d’eccezione, le sue poesie sono scritte per essere lette ad alta voce, per essere recitate, interpretate. Si tratta di poesie in cui l’aspetto formale è portato all’estremo, abbonda l’uso delle ripetizioni allitteranti, dei giochi di parole, della paronomasia, che sottolineano la volontà di D’Abrigeon di fare poesia viva, ad alta voce. Se non ci sono più rime in senso stretto, appaiono tuttavia debordanti assonanze e consonanze, rime interne messe in risalto dalla particolare stesura del testo sulla pagina. Si pensi per esempio a L’instrument.
L’altro lato artistico di questo “joyeux drille senza ambizioni” è la poesia in movimento: se ne trovano diversi esempi nella sezione “e-critures” del sito di Boxon, T.a.p.i.n, da lui ideato. All’interno della sezione troviamo la poesia dall’animazione sonora Skeletonalité, così come remix de l’hommage à BMPT, sorta di calligramme animato.
Giochi postmoderni concepiti unicamente per gli internauti? No, se si indaga a fondo la ricercatezza formale e la puntuale attenzione linguistico-formale di D’Abrigeon, che emergono in modo sorprendente nel già citato L’instrument.
Un forte senso del ritmo, della sonorità specifica di ogni parola a costituire la melodia della frase, si uniscono, in questa poesia, a scelte stilistiche e retoriche precise, attente. Non è un caso che D’Abrigeon adori Villons, Ronsard, e i grands rhétoriqueurs della poesia francese. Tuttavia quello che scrive non è imitazione o sterile riproduzione, ma vuole essere al contrario una poesia che tiene conto di tutte le diverse innovazioni e trasformazioni operate nel corso dei secoli, senza dimenticare il ventesimo. Nelle parole di D’Abrigeon, scrivere come i grandi innovatori del passato, oggi, sarebbe ridicolo. Nessuno dipinge più come Da Vinci, nemmeno come Picasso.
Inutile ricordare l’importanza, nella poesia di D’Abrigeon, delle allitterazioni, delle ripetizioni, delle consonanze, fondamentali in una poesia che sarà prima di tutto letta e “performata” ad alta voce, e che ha dunque bisogno di elementi ricorrenti, ritornelli, leitmotiv essenziali. Tra le figure retoriche chiamate in causa nella decodificazione della poesia di D’Abrigeon, come nella poesia azione in generale, è vitale la sinestesia, che suggerisce di unire e compenetrare i diversi campi percettivi e sensoriali, tutti essenziali e chiamati in causa nella decifrazione e interpretazione del testo.
Come ogni arte “azione”, anche la poesia di D’Abrigeon è inscindibile dall’atto della sua creazione e della sua performazione, che risulta anche il momento centrale per l’attribuzione dei significati in un rapporto di inter-scmabio tra autore e pubblico e viceversa. Nella produzione di D’Abrigeon è infatti essenziale la riflessione sul concetto di lettura, sia essa intesa come interpretazione (lettura pubblica) che come ricezione (decodificazione da parte del pubblico). Il concetto di lettura è per D’Abrigeon importante al punto da coinvolgere l’atto di scrittura stesso e modificarlo, pensiamo per esempio a Horde d’ordre et d’horreur, in cui l’autore lascia al lettore la possibilità di cambiare l’ordine delle parole, modificandone il senso, lasciando aperta l’opportunità di una semiosi illimitata.
Per la forte riflessione sulla lettura e sull’attribuzione dei significati nel rapporto tra emittente del messaggio e destinatario, la poesia di D’Abrigeon non è concepita per la pagina scritta ma per la performance pubblica, volendo indagare ancora più a fondo lo spazio magico in cui la parola proferita, sussurrata, gridata crea un legame con chi la ascolta. Potremmo affermare che è proprio questo il nucleo centrale della poesia di D’Abrigeon: indagare il viaggio di andata e ritorno che subisce il testo, tra chi lo pronuncia e compie l’atto di lettura in senso primo, e chi lo riceve, compiendone l’interpretazione.



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ultimo aggiornamento: luned' 1 marzo 2004 17.30.54
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