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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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ESTRATTO

Mi ricordo di Guido Guglielmi

Sandro Sproccati

Bollettario n°39


— Guido Guglielmi! Noi lo chiamavamo Céline, Guido Guglielmi. E non perché confondessimo lui, Guido Guglielmi, con il fratello Angelo (Angelo Guglielmi, fine letterato un po’ sprecato) il quale, prima di darsi alla televisione, aveva scritto un saggio bellissimo su Céline, che non ricordo dove avevamo letto ma di cui ricordo il titolo: Chi ha paura di Céline?.

— Noi lo chiamavamo cosí, Guido Guglielmi: Céline. Cioè, noi non lo “chiamavamo” affatto, poiché non lo conoscevamo (se non di vista, e di fama)... Noi, cioè io e il mio amico Antonio Violetta (assai fine scultore un po’ sprecato) – noi, che a quella nostra epoca di giovani un po’ fanatici, lo vedevamo passare, Guido Guglielmi, sotto i portici di Via San Vitale, di Strada Maggiore, del Pavaglione, di Piazza Aldrovandi, di Via Guido Reni, di Via Irnerio, e praticamente un po’ dovunque, a Bologna.

— Noi, Guido Guglielmi, lo chiamavamo Céline. E non perché lo confondessimo con il fratello Giuseppe (Giuseppe Guglielmi, molto fine poeta un po’ sprecato) che sosteneva a spada tratta che il piú grande narratore di tutto il Novecento – cosí diceva lui – era in realtà un poeta (niente affatto sprecato) che mascherava un ritmo di fattura somma, rime e assonanze intriganti, movenze esatte alessandriniche, e insomma tutto un tessuto prosodico incalzante e strepitoso, dietro a quei suoi mozzichi ossessivi di frasi tripuntate... E inoltre che, a saperlo leggere, Céline (cosí come lo sapevano leggere tutti e tre i Guglielmi), si doveva recitarlo (a mente o ad alta voce) non già come si recita un romanziere, bensí (sí, sí) come si declamano il Tasso o il Racine.

— Noi, Céline, lo chiamavamo... (Guido Guglielmi). E lo chiamavamo cosí per un solo motivo, e cioè per nessun altro motivo se non perché lui somigliava proprio a Céline. Ne aveva l’andatura presunta, il viso spigoloso e (in apparenza) incazzosissimo, il sembiante complessivo da vagamondo mal ridotto (nell’aspetto) ma di implacabile intelligenza e pieno di disprezzo per le miserie (autentiche) del mondo. L’aveva sempre e ovunque, quell’andatura già un poco claudicante, perché sí, non mi si crederà, ma lui era sempre ovunque.

— Ci fu un periodo, assai lungo per altro, in cui io, ad esempio, lo incontravo tutti i giorni, Guido Guglielmi. Dovunque andassi, in qualsiasi direzione mi conducessero le mie faccende o la mia pigrizia, ecco: me stavo per strada sí e no un’oretta ed ero fin dal principio certo – come si è certi, dico, della morte – che avrei incontrato prima o poi il Céline di Bologna, Guido Guglielmi. E infatti lo incontravo.

— Talvolta lo incontravo appena uscito dalla porta di casa (la mia, intendo, perché manco sapevo dove abitava lui), talaltra poco prima del rientro, ma per lo piú intorno alla metà della mia passeggiata. E tutte le volte in strade diverse. E quando non l’incontravo (sí, perché in effetti, lo ammetto, succedeva anche che non lo incontrassi... raramente) mi stupivo molto, e tra me e me dicevo: ma che percorso avrà fatto oggi, Céline?

— Una volta ero a casa del mio amico Claudio Parmiggiani (anche lui un po’ sprecato) che allora abitava in Via Guido Reni, e avevo appena visto Guido Guglielmi giú nella strada, proprio vicino al portone del bellissimo palazzo, a quel tempo popolare e un po’ cadente, in cui era situato lo stupendo appartamento di Parmiggiani: nulla di piú ovvio che raccontare súbito dei miei ossessivi incontri con Céline, e scoprire, grazie a Claudio, che Céline abitava proprio lí, in Via Guido Reni, in quel medesimo palazzo.

— Bologna non è certo una metropoli. Eppure, io vi garantisco che non vi si incontra mai nessuno, cosí, per caso. E se volete vedere qualcuno, a meno di non avere una fortuna sfacciata, dovete per forza telefonare e fissare un appuntamento – come del resto càpita in tutti i centri urbani che superino i duecentomila abitanti. Voglio dire che il “caso Guido Guglielmi” non aveva alcuna spiegazione logica accettabile, e io giunsi a ipotizzare, per esempio, parlandone con Antonio Violetta, che i Guidi Guglielmi fossero piú d’uno, addirittura una piccola schiera di “replicanti” dislocati tutti i giorni in molte zone della città. E che fossero tutti intenti ad attraversarla seguendo tragitti accuratamente studiati e capaci di creare in essa (o per lo meno nel suo centro storico) una sorta di ragnatela in cui era fatale impigliarsi.

— Ah, Guido Guglielmi! Quando lo conobbi, molti anni piú tardi, ed entrai con lui (un poco) in confidenza, non ebbi il coraggio di raccontargliela, quella mia fantasia, quella mia ipotesi sulla sua (apparente?) ubiquità. E nemmeno ebbi il coraggio di parlargli del vantaggioso effetto che la sua figura (céliniana) aveva esercitato per anni sul mio umore e sulla mia passione per la vita. Ora quella sua (reale?) ubiquità, che per altro ha avuto per me conferme fino a pochi mesi or sono, quando ancóra mi capitava spesso di incontrarlo, e magari qualche volta anche di ricevere da lui uno sguardo e un cenno di saluto (a labbra chiuse, però, come tra i denti: per via del sigaro – quasi sempre spento), ora, dicevo, quell’ubiquità è proprio finita: di Guido Guglielmi, purtroppo, ce ne è sempre stato uno solo. E non c’è più.


(settembre 2002)

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ultimo aggiornamento: sabato 21 settembre 2002 14.39.43
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