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ESTRATTO


Costituzione e Metonimie

Giorgio Luzzi

Bollettario n°41


Mesi fa dovetti affrontare un trasloco. Nel preparare gli scatoloni con i libri – non pochi vista l’età e il mestiere che faccio – decisi, accompagnato dall’ironia peraltro bonaria di mia moglie, di destinare uno di questi scatoloni a contenitore esclusivo del libriccino con la Costituzione della repubblica. Ero consapevole di un certo snobismo, di una punta di teatralità solipsistica, ma attuai ugualmente il mio proposito, scrissi l’argomento a caratteri cubitali sul grosso contenitore e affidai tutto alla ditta. Quello scatolone non è mai arrivato; tutto il resto è arrivato intatto a destinazione, ma quello no: forse i traslocatori hanno pensato che fosse vuoto, così senza peso, e se ne sono riappropriati, forse tra loro c’erano dei monarchici, chissà. Molti anni prima, nel 1994, in occasione della prima ascesa al potere dell’Uomo di Arcore, ero uscito l’indomani a ricomprare i Quaderni dal carcere di Gramsci, assieme ai tre volumi del “Principio Speranza” di Bloch: i primi li avevo dovuti abbandonare anni prima in seguito a un altro trasloco, i secondi erano freschi di stampa. Le forme simboliche sono le modalità di rapporto con il mondo sulle quali noi che scriviamo ci siamo esercitati. Però nella recente scomparsa della Costituzione c’è qualcosa di più, c’è del misterioso. Ciò ha comportato il fatto che ho speso un tempo considerevole per tornarne in possesso, un tempo pari all’ostinazione di fronte a un lapsus così vistoso (un libretto così si smantella in fretta e furia da parte di un branco di barbari, ma poi per ricostruirlo ci vuole chissà quanto tempo). Ma poco dopo mi sono rassegnato a sostituire il libretto con uno analogo, nuovo.
Ma che cosa dunque può dire un letterato su questo tema? Può dire almeno quanto può dire uno che lavora e che patisce questa degenerazione strutturale del sistema che coincide con un incalzante, spesso non sempre del tutto avvertibile, svuotamento sostanziale delle garanzie democratiche scritte in quel libretto. A costo di dire cose scontate, ne enumero alcune. La criminalizzazione del dissenso, che oggi ha i suoi alfieri tonanti al servizio del sovrano, tenta ogni giorno di deprivare i soggetti del diritto di opinione. Giuliano Ferrara, e altri campioni come lui, sono maestri in questo: trasformare in mandato morale (lui dice linguistico) di omicidio la trascrizione (Furio Colombo è bravissimo in questo ed è anche ammirevolmente risoluto) di giudizi negativi sul primo ministro o sul suo entourage che provengono dalle parti più disparate del globo. Questa è la distruzione del diritto di opinione. Inoltre l’uso personalistico della struttura legislativa fa sì che venga di fatto superata la garanzia della divisione dei poteri che è il sommo dei principii. Rileggiamo per un momento Montesquieu (Esprit des lois, XI,6): « Dans la plupart des royaumes le gouvernement est modéré parce que le prince, qui a les deux premiers pouvoirs [il legislativo e l’esecutivo], laisse à ses sujets l’exercise du troisième [il giudiziario]. Chez les Turcs, où ces trois pouvoirs sont réunis sur la tête du sultan, il règne un affreux despotisme ». Sembra che ora qui da noi si persegua esattamente il progetto di dare spazio esclusivo alla « volonté momentanée & capricieuse » del principe.
E continuando un po’ a macchia di leopardo. La impari accumulazione di ricchezza messa a segno dall’Uomo di Arcore, e la parallela conquista di un controllo che non ha uguale nel mondo
civile nel campo della comunicazione (della persuasione), violano palesemente un enunciato formale specifico che compare nella Carta. Partendo da quel principio si nota che esse violano né più né meno che la libertà civile di un paese. Questa è la distruzione del principio di uguaglianza. Occorre un processo di reinterpretazione ermeneutica: la Costituzione è una struttura che procede per grandi metonimie, che può essere letta sull’asse della contiguità; non potendo prevedere espressamente tutto, prevede però lucidamente, ed enumera, i fondamenti di tutto. Basta volerla leggere. Purtroppo non sempre il Colle mi sembra sufficientemente ardito, creativo, zelante, intraprendente, dotato di memoria. Dovrebbe esserlo, però: quando il Colle ha giurato fedeltà alla Costituzione sapeva che sarebbe stato suo dovere difenderla anche a costo della vita; se non sbaglio, indirettamente c’è anche scritto. Ma leggerà mai, il Colle, queste mie malnote righe? Temo di no. Ma per tentare di sedurlo Gli trascrivo anche questo pensierino di Mirabeau (Essai sur le dispotisme, 1775): «L’homme naturel et l’homme social diffèrent par des nuances infinies, qu’il ne faut jamais confondre. Il n’y a guère plus de comparaison entre l’individu naturel, et l’individu modifié par la société, qu’entre un citoyen ordinaire et un castor très industrieusement organisé ; et, sans étaler ici une inutile érudition, on peut conclure en général […] que non seulement l’homme sauvage n’est presque point éloigné de l’état animal […] mais encore l’homme social, réduit à la vie sauvage, perdrait la plus grand partie des notions, des connaissances et des passions qui distinguent notre manière d’être, de la vie purement animale » . Mi pare che di questi uomini selvaggi, non ancora del tutto distaccati dallo stato animale, ne circolino anche a livello di governo : intendo dire che certi loro modi di fare e di esprimersi privilegiano la violenza e la volgarità sulla ragione. Molti la liquidano come una pura questione di folclore. Io, che sono un vecchio moralista, preferisco pensare che dentro la Costituzione ci sarebbe rimedio anche a questo.





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ultimo aggiornamento: lunedì 1 dicembre 2003 14.49.53
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