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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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ESTRATTO

"Il condizionamento postmoderno e le nuove aporie dell’avanguardia"

Wladimir Krysinski

Bollettario n°22/23


  Se un giorno d’estate oppure una notte d’inverno un viaggiatore arriva dall’Ovest del Canada alla città di Montréal, vedrà una grande iscrizione illuminata che dice semplicemente " Panasonic all’avanguardia del tempo ". Avanzando verso il centro della città, il nostro viaggiatore, se vuole, può recarsi in uno dei numerosi negozi per comprare un qualsiasi oggetto elettronico prodotto da Panasonic. Però nello stesso tempo potrà rendersi conto del fatto che oltre che a Panasonic ci sono altri nomi, altre pubblicità. Tuttavia, solo Panasonic ha scelto il nome di avanguardia per dare ai suoi prodotti un’aura di eccellenza e di perfezione. Non è avanguardista chi vuole. Panasonic utilizza questa parola per sottolineare qualche cosa che altre marche non hanno osato mettere in luce. Almeno tale sarebbe l’eccellenza dei prodotti Panasonic tatticamente interiorizzata dagli strateghi di Panasonic. Alla merce di Panasonic si attribuiscono delle qualità eccezionali che le garantiscono la prima posizione in un tempo di produzione e di invenzione capitalista. In questa configurazione discorsiva il senso metaforico della parola avanguardia viene messo in rilievo con una grande efficacia. Prima di farne un’analisi funzionale al nostro proposito accompagniamo ancora un po’ il nostro viaggiatore.
  Attraversando lo spazio capitalista egli si accorgerà che la parola "Avanguardia" viene ancora frequentemente utilizzata in occasioni diverse: banche, linee aeree, fabbriche di varie produzioni e perfino istituzioni politiche si presentano come avanguardia di qualche cosa.
  Paradossalmente parlando, si può ammettere, da un lato, che ci sono ancora moltissime avanguardie nella vita quotidiana del capitalismo sempre giovane e pieno di forza nel dominio infinito della produzione, e, dall’altro lato, se ci spostiamo sul terreno di creazione artistica, si osserva che alcune voci autorevoli dei critici, filosofi e altri esperti postmoderni ritengono che la morte dell’avanguardia si è già prodotta nel momento in cui la modernità si è svuotata della sua energia creativa di riproduzione.
  Nel contesto degli stereotipi del postmodernismo , l’argomento avanguardia viene spiegato nel modo seguente: l’avanguardia contiene nel suo essere un elemento ideologico importante del progresso e siccome la modernità è incapace di riprodursi nelle sue creazioni basate sui grandi metaracconti di legittimazione (dell’emancipazione, del progresso, della dialettica hegeliana, dell’ermeneutica del senso), l’avanguardia ha perso la possibilità di ripetere gli stessi gesti che venivano fatti dai surrealisti, futuristi, dadaisti, modernisti, antropofagi, ultraisti, creazionisti e così via. Troviamo nel libro d’Ihab Hassan questa formulazione a proposito delle avanguardie storiche:
  "Per quanto riguarda l’avanguardia io intendo con questa parola quei movimenti che hanno agitato la prima parte del nostro secolo e che includono patafisica, cubismo, dadaismo surrealismo, suprematismo construttivismo, merzismo, de stijl
  (…) Anarchici hanno attaccato la borghesia con la loro arte, i loro manifesti le loro cose antiche (…) Per un certo tempo pieni di brio e di bravura, questi movimenti si sono spenti adesso lasciando solo la loro storia per un momento fugace ed esemplare"1
  Nel suo libro Homo Aestheticus, l’invenzione del gusto nell’età democratica il filosofo francese Luc Ferry, dedica un lungo capitolo al problema che definisce "il Tramonto delle avanguardie: la postmodernità" il capitolo incomincia ironicamente:
  "Con le loro mostre senza quadri e con i loro concerti di silenzio, le avanguardie hanno fatto dell’arte una derisione e a loro insaputa hanno preparato l’eclettismo postmoderno. Con il pretesto di scioccare e di sovvertire, le opere d’arte sono diventate modeste. Le colonne di Buren non sconvolgono più, esse divertono suscitando sentimenti di irritazione oppure di acquiescenza tanto fuggitivi che confinano nell’indifferenza"2
  Riferendosi ai critici come Octavio Paz e J. Clair, Ferry ricorda che questo tramonto delle avanguardie sorge come conseguenza dell’esaurimento della modernità in quanto movimento dialettico della negazione e in quanto estetica dell’innovatio.
  La convinzione che ci sia un’evanescenza oppure anche un’impossibilità dell’avanguardia costituisce la base del condizionamento postmoderno. Il postmodernismo significa allora un’epoca, un’estetica, una sensibilità che automaticamente escludono l’avanguardia. Senza citare altri esempi di questa impostazione condizionante postmoderna, mi pare necessario problematizzare questo luogo comune nella misura in cui almeno nel dominio letterario l’immagine dell’avanguardia di cui parlano alcuni postmodernisti non corrisponde quasi per nulla a quello che di fatto si produce nei vari discorsi di ciò che non possiamo non chiamare avanguardia e che avvengono dopo il regno della discorsività avanguardista ostentatoria e soprattutto quella dei manifesti delle avanguardie storiche. Come si può spiegare questa distorsione della presa in considerazione dell’avanguardia nel discorso critico postmoderno?
  Mi sembra che intervenga qui una intenzione ideologica di riduzione di un fenomeno che diventa sempre più complesso dopo le avanguardie cosiddette storiche e precursorie. Ovviamente il postmodernismo ha bisogno di questa riduzione come ha anche bisogno di questa riduzione come ha anche bisogno delle identità rigide, ovvie, benché falsificate per rinforzare la sua egemonia discorsiva. Conseguentemente, il postmodernismo in quanto discorso egemonico produce un condizionamento ideologico che impone un modo particolare e quasi unico di parlare dell’avanguardia. Ritengo che questo modo dovrebbe subire una decostruzione se vogliamo avvicinarci a una percezione assai oggettiva dell’avanguardia.
  Oggi non si può fare astrazione del condizionamento postmoderno che ha imposto gli schemi di riduzione abusivi. Insomma il mio tentativo di proporre una nuova visione critica del problema dell’avanguardia sorge dal desiderio di mettere a fuoco la relazione che si stabilisce tra il condizionamento negativo postmoderno e la visione riduttiva dell’avanguardia. Al condizionamento negativo possiamo opporre il versante positivo di valorizzazione delle avanguardie che compie J. F. Lyotard nei suoi libri il postmodernismo spiegato ai fanciulli e L’inumano, chiacchierate sul tempo. Il ragionamento di Lyotard poggia sul riconoscimento del fatto che in ogni epoca si produce una riscrittura della modernità e che le avanguardie hanno attivamente partecipato e partecipano a questa riscrittura. Abbiamo qui una via interpretativa più ampia e che corrisponde ai fatti se ci collochiamo nel campo letterario. Dobbiamo nello stesso tempo notare che la posizione di Lyotard non sembra aver trovato approvazione nell’ortodossia postmoderna.
  Ripensare oggi la questione dell’avanguardia ci obbliga a prendere in considerazione tutte le sue ambiguità e tutte le sue complessità sia nel percorso storico sia nel percorso storico sia nei suoi discorsi variabili.
  Prenderemo come punto di partenza nella tradizione critica, le coordinate stabilite da Hans Magnus Enzensberger nel suo saggio sulle "Aporie dell’Avanguardia". Cercherò allora di mostrare fino a che punto dovremmo proporre oggi nuove aporie dell’avanguardia tenendo conto del condizionamento negativo postmoderno, e anche di quello che ho definito come un versante positivo di valorizzazione dell’avanguardia.
  Il saggio di Enzensberger che risale all’inizio degli anni sessanta ci offre un paradigma critico abbastanza nuovo e valido poiché cerca un punto d’orientamento oggettivo pur mostrando l’ambiguità semantica e metaforica del concetto di avanguardia, i suoi condizionamenti storici e sociali e le vane pretese ideologiche che sono le cosiddette aporie dell’avanguardia. Attraverso il discorso fondamentalmente demitizzante di Enzensberger si intravedono già alcuni spunti originali e promettenti per quanto riguarda il rinnovamento del punto di vista sull’avanguardia che doveva più chiaramente sorgere sempre negli anni sessanta, con il libro di Renato Poggioli Teoria dell’avanguardia , contemporaneo del saggio di Enzensberger e poi con la ricerca di Peter Burger, la cui Teoria dell’avanguardia sarà pubblicata più tardi nel 1974.
  Se pure il lavoro di Enzensberger mantiene ancora oggi un certo valore euristico incontestabile la ragione è nella sua completezza dialettica che cerca di capire l’avanguardia come fenomeno allo stesso tempo politico, sociale, storico e estetico. Enzensberger colloca il problema dell’avanguardia nella prospettiva critica che non le perdona le sue posture ostentative nel discorso, le sue ingenue credenze e che nello stesso tempo accentua il distacco che separa l’avanguardia dal discorso moderno, poiché esso pone il postulato discorsivo oggettivamente e dialetticamente necessario della "legge riflessiva" che caratterizza secondo Enzensberger l’evoluzione dell’arte e della letteratura moderna.
  Enzensberger si riferisce alla definizione dell’avanguardia data dal famoso dizionario tedesco Brockhaus nella sua quattordicesima edizione quella del 1894. L’avanguardia è allora un termine militare che rinvia a un "gruppo di soldati che rappresentano la truppa principale e che avanzano a una certa distanza. L’avanguardia si divide in elementi sempre più piccoli fino alla cima che marcia completamente avanti. Ogni elemento deve assicurare ai seguenti una più grande sicurezza e dare loro del tempo…Gli elementi più piccoli mandati avanti devono regolare la loro marcia sugli elementi più importanti che li seguono".3
  Enzensberger ricorda con insistenza che l’avant-garde è una metafora e che non si può dimenticarlo. Ciò significa che "La nozione di avanguardia è, come la parola stessa, il risultato di una composizione" (352) "La particella avant, quale nell’espressione tecnica militare è presa nel senso piuttosto spaziale, ritrova nella metafora il suo senso iniziale temporale" (352). Siccome, secondo Enzensberger, il territorio su cui agisce l’avanguardia è la storia, le arti "avanzano, constantemente avanti".
  "Tutte le opere non si trovano ugualmente avanti, e la loro posizione non è affatto indifferente" (352). Enzensberger cerca un’istanza esterna discorsiva e giudicante di oggettivazione che permetterebbe di misurare in modo preciso la posizione dell’"avanti". E una tale istanza di oggettivazione posizionale di un avanti non è reperibile. Qui sorge la prima aporia dell’avanguardia. "Chi, si domanda Enzensberger, tranne l’avanguardia stessa deva decidere, chi si trova avanti in ogni particolare momento? E la risposta rimane aperta" (356). Benché sia possibile, ritiene Enzensberger, trovare e dire con precisione quali sono le retro-guardie di una letteratura o di un’arte, non è possibile trovare unanimamente che cosa è o non è l’avanguardia (357). "L’unica cosa che possiamo definire con precisione è chi era avanti, però non chi è avanti" (358). "L’avanti dell’avanguardia porta in sé una contraddizione: si può constatarlo solo a posteriori" (359).
  Pur riprendendo la famosa formulazione di Lenin che il partito comunista è l’avanguardia del proletariato, Enzensberger cerca di dimostrare l’impossibilità di trasferire sul terreno estetico e artistico le associazioni metaforiche politiche." La metafora dell’avanguardia non contiene nessuna indicazione delle mire rivoluzionarie" (363).
  Per Enzensberger ogni volta che un’avanguardia formula i suoi scopi e i suoi metodi sorgono le sue aporie.
  L’avanguardia è dottrinaria e vuole realizzare la libertà tramite una dottrina. Essa si occupa dell’avvenire per tutti. Essa dispone in un modo determinato di ciò che non è determinabile. Essa detta ancora in un modo arbitrario quello che dovrebbe fare l’autorità per domani. (364)
  Se prendiamo il termine di aporia nel senso sinonimico di un dubbio e di un imbarazzo, ricordando che la sua origine greca rinvia a "poros": passaggio e alla lettera greca "a" presa nel senso privativo, questo termine significa "senza passaggio", "senza uscita", qualche cosa di dubbioso e di problematico. Per quanto riguarda la definizione dell’aporia il Vocabolario tecnico e critico della filosofia di André Lalande aggiunge:
  "In Aristotele difficoltà da risolvere". "La messa in presenza di due opinioni contrarie e ugualmente ragionate come risposta a una stessa domanda". "Dai moderni, la parola è presa in un senso più forte: difficoltà logica da cui non si può uscire. Un’obiezione o un problema insolubili"4.
  Vista su questo versante, l’analisi di Enzensberger è negativa e sovverte completamente la raison d’être dell’avanguardia. Seguendo l’argomentazione di Enzensberger dobbiamo riconoscere che aporeticamente presa in considerazione, l’avanguardia non è rivoluzionaria, né innovatoria, né avanti, né progressiva e per giunta non è sperimentale. L’avanguardia non può rivendicare nessun leadership estetico, politico sociale. L’avanguardia sarebbe allora un bluff permanente. La critica che effettua Enzensberger di movimenti come la "beat generation", il "tachisme", la poesia concreta, la musica seriale e musica elettronica, l’arte informale è veramente feroce, ma anche superficiale. La sua analisi è una liquidazione dell’avanguardia per via aporetica.
  Concludendo che "l’avanguardia si è trasformata nel suo contrario, cioé è diventata un anacronismo " (380), Enzensberger sembra chiudere la porta a una riconciliazione con il concetto e con l’idea dell’avanguardia. Però nello stesso tempo il paradosso vuole che l’unica salvezza per l’avanguardia può venire dal fatto sottolineato da Enzensberger stesso, quando dice che il senso posizionale e valorizzante del prefisso "avant" può esser determinato solo a posteriori quando si analizzano le varie configurazioni di realizzazioni artistiche.
  Che uso dobbiamo fare dell’opinione tanto severa di Enzensberger trentacinque anni dopo la pubblicazione del suo saggio? La sua liquidazione dell’avanguardia benché sia tanto forte non evita alcune semplificazioni, però nello stesso tempo impone un paradigma critico abbastanza efficace. Di fatto Enzensberger è probabilmente uno dei primi teorici dell’avanguardia a dimostrare le numerose relazioni che stabilisce funzionalmente una qualsiasi avanguardia con il tempo, lo spazio, il discorso e l’ideologia, nonché con la tradizione e con il futuro. Se il suo tipo di analisi mi pare attuale è perché questa sua messa in contesto e in contraddizione di un fenomeno complesso, rivela, da un lato, vari condizionamenti ideologici dell’avanguardia, e, dall’altro, esibisce gli elementi costanti e strutturalmente validi anche per i contesti culturali diversi. Dobbiamo confrontare il paradigma critico di Enzensberger con quello che succede nei vari spazi discorsivi avanguardistici sin dall’inizio degli anni sessanta. Un fatto ovvio dovrebbe darci da pensare: l’avanguardia cambia, si trasforma in una formazione discorsiva che pur confermando le tesi critiche centrali di Enzensberger, ne relativizza la pertinenza. Fino a che punto questa avanguardia cambiata e trasformata porta avanti una vera esistenza e una attività, fino a quando cioè la sua esistenza è ancora aporetica?
  Propongo il percorso critico seguente: mi pare necessario vedere l’evoluzione storica e discorsiva del concetto di avanguardia dopo le cosiddette avanguardie storiche. Nello stesso tempo bisognerebbe rintracciare l’evoluzione semantica del termine dato che il suo ritorno nei vari contesti critici, artistici e letterari mi pare evidente e significativo anzi rivelatore di uno spostamento del senso e delle pratiche di avanguardia.
  Infine, cercherò di ritornare sul problema del condizionamento postmoderno che dovrebbe subire un confronto con la realtà nella misura in cui i giudizi critici sull’avanguardia pronunciati dai vari esponenti del postmodernismo sembrano sorgere da una sindrome ideologica che si basa su pregiudizi che spesso non badano ai fatti concreti e non si occupano delle possibili se non necessarie sfumature. E alla fine cercheremo allora di vedere il problema dell’avanguardia sulla base di qualche nuova aporia che si potrebbe formulare in modo da misurare la sua resistenza al paradigma critico di Enzensberger.
  Negli anni sessanta, contemporaneamente al saggio di Enzensberger ci sono almeno due teorizzazzioni dell’avanguardia che se non contraddicono il suo punto di vista, ne danno almeno una versione più completa. Si tratta del libro di Renato Poggioli Teoria dell’avanguardia e del libro di Guillermo de Torre, Historia de las litteraturas de vanguardia. Quest’ultima opera composta da tre volumi ha avuto una prima versione ristretta nell’anno 1925 quando de Torre ha pubblicato Literaturas europeas de vanguardia.
  L’analisi di Poggioli potrebbe essere chiamata storico - fenomenologica e anatomica. Il fenomeno dell’avanguardia viene trattato come un organismo che investe la sua energia nei vari stadi della sua attività che punta sulla resistenza del creatore nella società capitalista di fronte all’alienazione che ogni artista deve "nolens volens" subire nei rapporti di lavoro e di creazione. Secondo Poggioli l’avanguardia è un fenomeno ciclico e condannato fatalmente a svanire. Quindi gli elementi quali l’antagonismo, il nichilismo, l’attivismo, l’agonismo si ripetono in tutte le avanguardie conosciute in quanto storiche. La teoria di Poggioli è proposta oggettivamente e senza la rabbia che caratterizza Enzensberger. Non è una teoria aporetica e non mette in questione la serietà del fenomeno. Il verdetto di Poggioli non coincide con quello di Enzensberger. Per Poggioli l’avanguardia è un processo e un discorso artistico che pur appartenendo alla modernolatria se ne separa e fa parte della modernità.
  Guillermo de Torre definisce l’avanguardia come un movimento di schock, di rottura e apertura senza aspirazione a una permanenza o ad una immobilità.5 Si tratta di un movimento bellico, polemico che si oppone alle forze del passeismo (p.25). De Torre aggiunge che per gli avanguardisti quello che conta veramente non è un punto d’arrivo, ma piuttosto il cammino. Dice de Torre: "Don Chisciottescamente preferiscono il cammino alla stazione" ("quijotescamente preferian el camino a la posada") (24). Quello che informa l’analisi e la visione l’avanguardia di de Torre è il sorgere sistematico dei numerosi "ismi". Per de Torre nella prospettiva storica della sua analisi dell’avanguardia è soprattutto un "ismo" afferrato storicamente nel 20° secolo, nell’epoca che si estende prima, durante e dopo la prima guerra mondiale. L’avanguardia è allora un signum temporis che rinvia ad una certa permanenza di quello che possiamo chiamare l’"ismismimazione", cioé la molteplicità di "ismi". Senza enumerare tutti gli "ismi", ricordiamo quelli che occupano un posto importante nell’analisi di de Torre e che corrispondono al catalogo degli "ismi" dato nei Documents internationaux de l’Esprit Nouveau (1929) che cita l’autore. Eccoli: futurismo, espressionismo, cubismo, ultraismo, dadaismo, surrealismo, purismo, construttivismo, babelismo, zenitismo, simultaneismo, suprematismo, primitivismo, panlirismo.
  Se per de Torre l’avanguardia è caratterizzata dall’"internazionalismo" e dall’"antitradizionalismo", i vari "ismi" hanno come denominatore comune la "decentralizzazione" (descentralizacion) che costituisce un " solo espiritu nuevo mundial".
  Guillermo de Torre cerca di mostrare che, da un lato l’avanguardia segue un ciclo storico negli anni dieci, venti e trenta del 20° secolo, e, da un altro lato, benché questo ciclo perda la sua energia, gli "ismi" avvengono fino all’ultimo momento della scrittura di quest’opera monumentale ingiustamente trascurata dagli studiosi di letteratura.
  Se ammettiamo che l’avanguardia in quanto parola composta veicola vari semi, il semantismo militare che definiamo come "combattivismo", "aggressivismo", "violenza", "truppa d’elite" domina e caratterizza bene i vari movimenti a partire dal sorgere del futurismo e del dadaismo fino al tramonto del surrealismo. Si fa sentire però anche nel lettrismo. Il paesaggio e la dominanza semantica cambiano alla fine degli anni cinquanta.
  Nella sua analisi della morte del Gruppo 63, Umberto Eco ha osservato giustamente che tra gli elementi caratteristici individuati da Poggioli vale a dire attivismo, antagonismo, nichilismo, demagogia, culto della giovinezza, culto della modernità, lucidità, auto-sacrificio, rivoluzionarismo, autopropaganda, prevalenza della poetica sull’opera, nelle attività del Gruppo 63 ci sono soltanto gli ultimi due.6 E Eco si riferisce all’esposizione delle poetiche di Sanguineti, Balestrini, Giuliani, Porta. Osserva che il Gruppo cercava di fondare un’avanguardia che potrebbe rispondere alle domande seguenti: "A chi dobbiamo parlare?", "Come dobbiamo farlo?", "Dobbiamo continuare a parlare o a scrive?" (71) La conclusione paradossale di Eco vuole che il Gruppo 63 sia morto poiché gli mancava l’"energia teorica" per affermare e risolvere la crisi. Quindi la morte gloriosa del Gruppo 63, sempre secondo Umberto Eco, sarebbe stato un suicidio.
  Quello che mi pare importante nell’analisi di Eco è il fatto che sottolinei la presenza del lavoro teorico e del rivoluzionarismo. Se questo ultimo tratto entra certamente nello spazio tradizionalmente aporetico, però sempre da dibattere, il lavoro teorico, intellettuale merita un’attenzione particolare. Afferriamo qui il problema centrale che concerne tutti i gruppi artistici che sorgono alla fine degli anni cinquanta e dagli anni sessanta in poi.
  Questo problema è legato alla trasformazione delle avanguardie che ho chiamato provvisoriamente post-storiche. Ne fanno parte il concretismo brasiliano, il gruppo Tel Quel, I Novissimi e Change. Nei loro casi rispettivi l’avanguardia è un problema assai complesso però significamente funzionale senza insistere sulla presenza del combattivismo, aggressivismo, truppa d’elite. Ciò che mi pare nuovo qui è la rielaborazione teorica del lavoro collettivo, dialogico, intellettuale. Il militarismo avanguardistico conosciuto nelle avanguardie storiche viene sostituito qui dalla resistenza e da quello che propongo di chiamare la pertinenza conoscitiva. Ogni gruppo di quelli sopramenzionati compie un riconoscimento sintomatico della realtà e della produzione artistica. Quasi ogni autore di un gruppo particolare partecipa all’elaborazione di nuovi linguaggi che cercano di essere gli strumenti funzionali per attingere alla pertinenza conoscitiva di fronte alla realtà. La pertinenza conoscitiva costituisce il segno specifico delle avanguardie post-storiche. Se quelle ultime puntavano soprattutto sulla loro presenza chiassosa e ostentatoria, i gruppi sovramenzionati svolgono le loro attività attorno al lavoro intellettuale, critico e teorico. A partire da questo dato possiamo porre il problema delle nuove aporie dell’avanguardia.
  Poiché il tempo non lo permette cercherò di farne un abbozzo e mi riservo il diritto di sviluppare questo problema in altra sede.
  Vorrei prendere in considerazione la tre aporie seguenti: della novità, della rivoluzione, e dell’"avant". Ricordiamoci che, come dice Enzensberger, della posizione propria di una avanguardia possiamo parlarne soltanto a posteriori. E nel caso dei gruppi scelti questo a posteriori esibisce la sua presenza già da un certo tempo. Le novità delle avanguardie storiche erano legate ai loro manifesti e essi avevano la differenza specifica di proiettarsi nel futuro, di giurare che una nuova epoca sarebbe stata realizzata da loro, futuristi, surrealisti. Le avanguardie post-storiche si situano molto più nel passato e nel presente. Il loro tempo è quello di intensità conoscitiva intesa come un gesto intenzionale di comprendere la situazione presente tramite la tradizione e la continuità dinamica dell’arte e della letteratura.
  Definiamo la novità nel senso di R. Barthes che nel suo Piacere del testo ne dà una visione ampia e conglobante, particolarmente funzionale per il nostro proposito:
  Le Nouveau n’est pas une mode, c’est une valeur, fondament de toute critique: notre évaluation du monde ne dépend plus, du moins directement, comme chezNietzsche, de l’opposition du noble et du vil, mais de celle de l’Ancien et duNouveau (l’érotique du Nouveau a commencé des le XVIIIe siécle: longuetrasformation an marche). Pour éapper à l’aliénation de la société présente, il n’y a plus que ce moyen: lafuite en avant: tout langage ancien est immédiatementcompromis, et tout langage devient ancien dés qu’il est répété. Or le lengage encratique (ceui qui se produit et se répand sous a protection du pouvoir) est statuuairement un engage sont des machines ressassantes: l’école, le sport, lapublicité, l’oeuvre de masse, la chanson, l’information, resident toujours la meme srtucture, le meme sens, souvent les memes mots: le stéréotipe est un fait politique, la figure majeure de l’ideologie. En face la Nouveau, c’est la jouissance(Freud: "Chez l’adulte, la nouveauté constitue toujours la condition de la jouissance"). D’où la configuration actuelle des forces: d’un cote un applatissement de masse (lié à la répétition du langage) - applatissement hors jouissance, mais non focément hors - plaisir -, et de l’autre un emportament (marginal, exentrique) vers le Nouveau - empotement éperdu qui pourra aller jussqu’à adestruction du discours: tentetive pour faire resurgir historiquement la jouissance refouléé sous le séréotype.7
  La novità in queste avanguardie è allora legata al movimento di opposizione al linguaggio del potere. E ancora legata al lavoro creativo d’invenzione dei nuovi linguaggi che sorgono nelle opere di Sanguineti, di Sollers, di Giuliani, di Balestrini, di Haroldo de Campos, di Jacques Rouband. Sono i nuovi sistemi di segni che mettono in rilievo la posizione attiva del soggetto d’avanguardia. Oggi si possono vedere questi sistemi come un superamento sistematico dello stato di ripetizione. Io direi che l’aporia della novità posta come un dilemma da risolvere pare risolta se attraversiamo a posteriori le varie opere. Il linguaggio dei "novissimi" procede dalla volontà di rispondere al reale schizofrenico con una pertinenza conoscitiva che nello stesso tempo approfondisce e problematizza la visione della società borghese, critica, relativizza e ironizza il reale. Dunque, il movimento verso il nuovo costituisce una descrizione problematizzante della società globale moderna. Che siano presi in considerazione la violenza illustrata di Balestrini, la poesia concreta degli avanguardisti brasiliani, oppure Laborintus, Novissimum Testamentum o Bisbidis di Sanguineti, Passi passaggi di Porta, Lois o Paradiso di Sollers i loro linguaggi ci colpiscono come novità definita nel senso di Barths ovvero opposizione alla ripetizione come regola del linguaggio encratico.Simultaneamente con queste creazioni di idioletti d’avanguardia specifici si produce il lavoro di lettura critica, di collaborazione con i filosofi e i critici. Ha ragione Francesco Muzzioli quando osserva nel suo libro Teoria e critica della letteratura nelle avanguardie italiane negli anni sessanta:
  Ora, ogni arte veramente nuova è, in quanto tale, un’arte "irriconoscibile": essa infatti continua ad essere valutata con i canoni della vecchia arte (…) Il nuovo, allora deve chiedere aiuto proprio alla filosofia (…) Il linguaggio "nuovo"insomma, ha bisogno di un appropriato metalinguaggio che ne esponga le basi e le coordinate operative.8
  Si potrebbe allora analizzare e dimostrare come quello che io chiamo la pertinenza conoscitiva si realizza con l’aiuto dei metalinguaggi appropriati. A posteriori si vede come il dibattito intellettuale intorno al Gruppo 63 e "I novissimi" era costantemente agitato per quanto riguarda la novità soprattutto dei linguaggi. Rileggiamo oggi nei Novissimi, poesie per gli anni ’60 "La prefazione" del 1965 e "Introduzione" del 1961 di Alfredo Giuliani si è colpiti dalla pertinenza e dal contesto critico tanto ampio delle sue considerazioni sui linguaggi in gioco che costituivano l’impegno artistico dei "Novissimi". Cito Giuliani:
   È vero che la tradizione a cui si richiamano i "novissimi" non è nata ieri, ma è altrettanto vero che oggi non è anco ra morta. La condizione della poesia contemporanea è tutta in queste parole del poeta brasiliano Osvalde de Andrade ("Invencao", n 4, dicembre 1964): Disintegrazione - nebulosa poesia senza centro (nucleo) solare - non può incontrare immediatamente la sua geometria creatrice.
  Perciò è tanto importante il metodo, e nuove applicazioni, correzioni anche infinitesimali, possono darci poesie nuove.9
  La novità delle avanguardie degli anni sessanta non è aporetica. A posteriori si può vedere come la novità dei loro linguaggi viene determinata da un lavoro cosciente e impegnativo dell’intelletto che cerca di posizionare una nuova rappresentazione assieme a una nuova comunicazione.
  Prendiamo adesso l’aporia della rivoluzione. Per Enzensberger nel 1962 l’avanguardia che ha la pretesa di essere rivoluzionaria cade di fatto nell’aporia. Chi potrebbe sapere se e come un’avanguardia è rivoluzionaria? Rileggendo oggi i vari materiali e posizionandoci a posteriori dobbiamo interrogare il problema della rivoluzione in quanto uno degli orizzonti di attesa di ogni avanguardia. La rivoluzione è un elemento costante dei discorsi avanguardistici, ma anche dei discorsi critici sull’avanguardia. Nei numerosissimi manifesti avanguardistici sia europei sia latino-americani, sia nord-americani la rivoluzione è un presupposto di tutte le attività avanguardistiche. La rivoluzione è un ideale e un clima, un mito e una prospettiva politica ed artistica centrale.
  Della rivoluzione possiamo parlare in termini di cambiamenti politici, economici e in quelli di linguaggi artistici. La complessità del problema della rivoluzione aporeticamente posto risiede nel fatto che i gruppi avanguardistici nolens volens, come anche i commentatori confondano i vari significati del termine. C’è il senso astronomico che si riferisce al "cammino rotatorio del pianeta il cui spostamento ci pare come un eterno ritorno". C’è il senso politico e ideologico che implica "l’emergenza storica fondatrice di una nuova essenza"10 Ricordiamoci di qualche dato fondamentale. Da Marx fino a Troski, a Henri Lefebvre ed a Anna Arendt che definiscono con grande limpidità la rivoluzione e i suoi problemi, essa presuppone dei cambiamenti radicali nelle strutture politiche, sociali, economiche, mentali e artistiche.
  Nella sua Introduzione alla modernità che risale al 1962, Henri Lefebvre ricorda che:
  "Se la modernità (la nostra) si svolge sotto il segno delle crisi molteplici, non si può pensare che queste crisi molteplici siano gli spiccioli (la menue monnaie) della crisi rivoluzionaria unica e totale considerata da Marx, che avrebbe risolto con un gesto storico assoluto il proletariato radicalmente negativo e creatore".
  E Lefebvre definisce la modernità paradossalmente come "l’ombra della rivoluzione, il suo sbriciolarsi e ogni tanto la sua caricatura". Nello stesso tempo il filosofo marxista francese osserva:
  "La Modernità realizza pur sbriciolando qualche compito della Rivoluzione. Quali compiti? Dapprima, la critica della vita borghese, (…) nella misura in cui essa è estratta, spaccata e lacerata. (…) Poi, il deperimento dell’arte, condotta alla sua fine dalla distruzione, dall’auto-distruzione dalla sua negazione interna. Dopo, il deperimento della filosofia, come tale, il discredito delle ideologie, poi, l’elaborazione di un’idea, anzi di un’ideologia contestabile della felicità (che degenera nell’ideolo già di conforto e di benessere, però pone almeno la domanda della felicità). Infine, la preparazione fatta partire dagli errori e dalle approssimazioni successive di attitudini che concernono la tecnicità, la natura, la spontaneità".11
  Si potrebbe dire che le avanguardie sono prese in queste contraddizioni della Modernità. Le neoavanguardie realizzano allora, per riprendere i termini di Lefevre, alcuni dei compiti della rivoluzione. Questo elemento è certamente una buona pista di lettura.
  I gruppi già enumerati "63", "I Novissimi", "Tel Quel", I concretisti brasiliani e il Gruppo di "Change", rivendichiamo la dimensione rivoluzionaria per le loro creazioni e per le loro scritture. I concetti di "rottura", di "cambiamento", di "trasformazione" ritornano spesso nel loro metalinguaggio. Nel programma di "Tel Quel" del 1967 dice Sollers:
  La teoria in considerazione (cioè la teoria d’insieme - W.K.) ha la sua fonte nei testi della rottura e in quelli che son suscettibili ad "annunciarla" e "proseguirla".(…) La scrittura che "riconosce la rottura" è allora irriducibile al concetto classico(rappresentativo) del testo scritto: quello che essa scrive non è altro che una parte di c’è stessa.12
  Sanguineti ipotizza una rivoluzione che sarebbe un ricominciare da zero, un mutare un ricominciare totale e una mutazione e ad essa oppone l’atteggiamento riformista. 13 Lo stesso Sanguineti propone di promuovere la letteratura della crudeltà che:
non è al servizio della rivoluzione, ma è la rivoluzione sul terreno delle parole, in quella dialettica (…) delle parole e delle cose. Così, sempre,dice Sanguineti, nella forma ideologicamente condizionata (in sede di preistoria) dell’anarchia, la letteratura della crudeltà sperimenta ormai il superamento delle istituzioni e dello Stato, cioè quell’idea (la sola, per l’esattezza) che ha la forza della fame. Dalla cultura, del resto, non abbiamo altra idea da estrarre, oggi.14
  La risposta polemica di Aldo Tagliaferri al saggio di Sanguineti contraddice la sua posizione per quanto riguarda la letteratura della crudeltà che sarebbe la "rivoluzione sopra il terreno delle parole". Tagliaferri sottolinea il fatto che la posizione di Sanguineti in quanto "marxismo adulterato" confonde poiesis e praxis e obnubila la differenza, "per dirla sartianamente", tra la fame e "idee che hanno la forza della fame", fra la rivoluzione e la parola "rivoluzione".15 Questa polemica riletta oggi dà a vedere fino a che punto la rivoluzione sul terreno delle parole è stata oppure non è stata quella che Tagliaferri chiama, "una regressione alla magia" che confonde la distruzione delle istituzioni con il loro superamento sperimentale attuato"sul terreno delle parole".16 Tocchiamo qui il problema forse centrale nell’aporismo potenziale o reale di cui sarebbe minacciata ogni avanguardia. Questo problema è la funzione della metaforicità della parola rivoluzione usata in certi contesti discorsivi dell’avanguardia. Tagliaferri attira la nostra attenzione su un fenomeno che io chiamerei la reificazione del linguaggio in quanto strumento e mezzo d’espressione dell’ideologia. Questa reificazione permette di muoversi sul terreno delle idee credendo però che le parole si sostituiscano alla realtà.
  Considerazioni come quelle di Sanguineti si possono moltiplicare e riflettono lo stato di coscienza degli avanguardisti, ma non determinano il grado di "rivoluzionarietà" effettivo compiuto dall’avanguardia. Perciò, l’avanguardia può essere riconosciuta come strumento della rivoluzione, ma non la rivoluzione stessa. Solo in questo senso, politicamente visto, un’avanguardia è rivoluzionaria.
  Vista su un altro piano l’aporia della rivoluzione si risolve nella misura in cui la dimensione metaforica della parola rivoluzione ha ovviamente una funzione epistemologica e conoscitiva evidente. Questa metafora serve evidentemente la realtà poiché segna opere in considerazione con un marchio che le differenzia, che stabilisce una gerarchia non necessariamente canonica, ma piuttosto di pertinenza conoscitiva. Si osservi l’uso di questa parola nel contesto critico di opere chiamate rivoluzionarie oppure di scrittori rivoluzionari. Gli esempi di Gadda e di Edoardo Cacciatore nella letteratura italiana recente mostrano che la "portata rivoluzionaria" di un’opera è un problema reale che trova soluzioni nelle varie differenziazioni assiologiche di opere in emergenza in una letteratura. Queste differenziazioni operano a partire da un trittico di valori che fa emergere le opere d’avanguardia, le rivoluzionarie e le moderne. Queste opere sono luoghi discorsivi in posizione dialogica, intertestuale e polemica. Si collocano nelle sequenze temporali brevi o lunghe dove sorgono degli eventi artistici, sbocciano le strutture, si concretizzano i sistemi di valori e i linguaggi delle opere soprannominate. Esse acquistano delle qualità differenziali che permettono di definirle.
  Per me è ovvio che le opere di Sanguineti, di Giuliani, di Porta, di Balestrini, e di Pagliarani fanno parte di questa area rivoluzionaria in cui sono radicati i loro discorsi e quelli degli altri scrittori.Qui bisognerebbe aprire una parentesi: come costituire un’ermeneutica delle opere rivoluzionarie? Come e perché si potrebbe prendere in considerazione un sistema di valori che oggettivamente ci permetterebbe di fissare i gradi delle qualità rivoluzionarie di queste opere? Come trovare una base oggettiva per fondare i criteri che andrebbero al di là delle prime intuizioni e formulazioni come quelle per esempio di Angelo Guglielmi a proposito di Gadda:
  Ecco che cosa significa essere progressista per uno scrittore: avere una idea della letteratura tale per cui essa tutte le volte che vuole realizzarsi deve rivoltarsi contro se stessa. Significa non accettare i limiti della conoscenza estetica e rimetterli sempre in crisi e in discussione spingendoli fin dentro il campo del gratuito, dell’arbitrario, dell’assurdo. Ed è per questo che è uno scrittore rivoluzionario (…)17
  Senza rispondere a queste domande dobbiamo riconoscere il fatto che l’aporia della rivoluzione si relativizza quando ci accorgiamo che la diversità delle opere artistiche concede loro delle specificità che decidono dei loro gradi nel sistema generale di valori generati dal trittico che fa emergere le opere rivoluzionarie, d’avanguardia e moderne.
  Ci resta ancora l’aporia dell’avant, cioè di questo avanti, posizione nello spazio e nel tempo che decide dell’importanza gerarchica di un’avanguardia. Viste nelle prospettive storiche le varie avanguardie convergono verso l’intenzione di capovolgere tutti i sistemi di segni e di valori davanti ai quali sono state poste all’inizio delle loro emergenze. Il processo di capovolgimento non riesce a solidificarsi e diventa un puro desiderio.
  Quali avanguardie sono veramente "avanti" nei confronti di altre avanguardie oppure di altre formazioni discorsive? Sono state veramente avanti queste o quelle avanguardie? Qui la risposta dovrebbe essere precisa e chiara. Ma è veramente possibile dare una tale risposta e risolvere l’aporia che per Enzensberger occupa una posizione in qualche modo centrale nel suo sistema critico? Questo mi sembra abbastanza problematico. Nella somma e nella molteplicità, nell’intertestualità e nell’interdiscorsività delle opere in gioco, l’"avanti" di un’avanguardia non può prevalere su quello dell’altra se ammettiamo che questo "avanti" si costituisce soprattutto come risultato dei gesti collettivi, delle manifestazioni dei gruppi. Insomma, l’avanti di un’avanguardia tende verso le generalità specifiche che uniscono i gruppi. In questo senso l’aporia dell’avanti resiste e persiste nel suo spazio metadiscorsivo e rimane tessera d’identità collettiva a cui l’avanguardia tiene sempre. Nessun punto d’osservazione assoluto può attribuire ad un’avanguardia una superiorità e un avanzamento nello spazio e nel tempo. Dobbiamo anche qui rivolgerci alle opere e mostrarne le differenze, le intensità e i gradi di completezza e di pertinenza conoscitiva. Qui possiamo afferrare il senso di "avanti". Benché anche qui questo senso possa condividere con gli altri la giusta direzione cioè la volontà di promuovere quello che Angelo Guglielmi chiama i "contenuti anarchici" che devono definire la "vitalità della rivoluzione". Tra le dichiarazioni collettive delle avanguardie e neo-avanguardie nella nostra modernità e le opere che spontaneamente si distaccano dalle generalità specifiche si colloca lo spazio creativo della soggettività che supera la lettera dei manifesti. Le opere che rappresentano le avanguardie sono quelle che salvaguardano lo spazio di libertà di fronte ai processi sociali di massificazione. Queste opere ci permettono di stabilire una scala di valori dove si può misurare il senso di avanti nella misura in cui le soggettività in gioco rivelano i punti sensibili d’attacco contro l’alienazione, l’ideologia e i vari processi del pensiero unico e della reificazione.
  Tra il condizionamento postmoderno negativo e quello positivo, tra le aporie che hanno compromesso l’avanguardia classificandola come discorso di auto-identificazione e di insolenza, rimane sempre uno spazio creativo dove si riscrive la modernità e dove sorgono le opere al di là ed al di sopra delle norme di vituperio e di auto-proclamazione collettiva.
  La via delle avanguardie è dunque un ritorno necessario sulla soggettività trasgressiva che si oppone alle schematizzazioni critiche sia quelle postmoderne sia quelle troppo aporeticamente orientate.
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ultimo aggiornamento: domenica 11 febbraio 2001 12.27.02
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