Che un paese, posto alla guida di un altro gruppo di paesi, si attribuisca il diritto di intervenire in questa o quella parte della terra, è un atto di arbitrio che potrebbe portare alla lunga -ma forse non troppo alla lunga- a conseguenze imprevedibili: quanto meno alla proliferazione delle armi più micidiali: e ad un incoraggiamento al ricorso alla guerra. Dopo aver visto le bombe sul Kosovo e sulla Serbia ci è più difficile come europei di indignarci per le stragi in Africa o altrove; e corriamo il rischio di assuefarci ad ogni effaratezza. Un corpo di pronto intervento planetario è quanto mai infausto e sospetto, se a volerlo e a organizzarlo è il gruppo di stati più forti della terra, il quale agisce solo quando ha qualche convenienza a farlo, e protegge invece tutte le pratiche di genocidio (vedi il caso Ocalan) in cui questa convenienza manca. È vero che i Kosovari erano e sono vittime di rappresaglie e stermini da parte dei serbi. Ma tutti hanno potuto vedere che l'esodo di centinaia di migliaia di Kosovari è stato determinato proprio dall'iniziativa dell'intervento. E tutti hanno potuto vedere che ogni giorno si spende quello che si spende per la guerra, e pressocché nulla per i profughi e gli scampati (li si fa solo vedere alla televisione). C'è un fondamentalismo dell'Occidente che è dato dalla fede fanatica nella superiorità della propria cultura, e che lo porta a erigersi a giustiziere. Così la guerra è travestita da ragioni umanitarie. Ma essa contribuirà a rendere più intricata una situazione storicamente intricatissima, continuando una politica seguita fin da quando invece che aiutare l'ex Iugoslavia a costruire uno stato polietnico, la si spinse a disgregarsi e a precipitare nei suoi terribili conflitti interetnici. Una delle due parti alla fine crederà di aver vinto; o forse lo crederanno entrambe: ma l'unico segnale positivo sarebbe il cambiamento di quella politica.
