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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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ESTRATTO

Nevio Gàmbula

"Le varianti del sicario (Nella contraddizione. Descrizione di ultimo atto)"

Bollettario n°34/36


(periferia di grande città. Strada)

- mamma, che dice il bando?
- ... domani a piazza Rosa Citazione e Plagio preparano il Copione pe' recità 'na cosa
- mamma, chi è quell'uomo coperto di sangue?
- ... l'attore fuori gioco che si muove a fatica e arriva prima che si accendano le luci
- mamma, qual'è il suo messaggio?
- ... le Parole irrispettose nel procedimento del Copione cui seguirà la bruciatura della Recita


(interno di teatro. La scena è buia. Rumore di fogli)

pace non trovo e non ho da far guerra son baci che voglio
ognuno un groviglio in quest'epoca ancora preistoria
nessuno fuorché pochi
ha parole esatte di cose, dette
rumorose le parti opposte del vero
in rauca rissa d'accenti producon del diverbio
sinfonìa
un rottame un rumore continuo
è l'offesa che t'esce dal corpo fuor dall'usata legge
onde il mio dire i colpi tumulti far guasto e molti nemici
a pugnar esorta far voltar le genti
le perdute genti:
varie voci, inebrianti
fremon d'intorno recan pace ancora gli scribi d'ogni giorno
dicon per decreto e filosofia ch'ogni guerra
è tolta via:
son baci che voglio col ferro a lacerar
comunque vada uscir a dire senza riprender fiato della mischia
con le cose avanti tutte le parole
disgiuntiva canzone
di divisione
(e la voce si caricò d'una calda enfasi davvero incalzante)

ebbrezza di sangue all'inizio: consegnerò
il mio mandato alla folla:

desidero che muoia:

voglio la sua morte. Colpirò appositamente per sabotare
che prendo appunti dai monumenti di frasi
e ne preparo meticolosamente la caduta:

diserto i corridoi saccenti nient'altro che un'ombra
non appartengo che al deserto:

alitare sulla scena
l'amore tremendo:
insostenibile parte

Ogni cosa al mondo
appartiene ai miei nemici

e le frasi che consacrano con impegno l'ingegno di costoro
a posseder ogni cosa senza posa son dai più ripetute
finché quel che resta è cenere. La gola
secca fin dall'inizio:
manipolando
le varianti con impazienza tento
imbastire un canto
corale possente di morte:

dove forte è il grido muto di Catastrofe
si genera forse un nuovo amore



(un canto forte, forte, e una dialettica del groviglio)

Può accadere
un breve canto, convulso, uno sbaglio disordinato, un rozzo groviglio
... e ritagli e il lezzo sale. Dai franti detriti, senza pace, può accadere
che in piena marcia il canto cambi ...
un'altra crepa ...
Nella selva selvaggia un ventaglio goffo di trilli suona
un amore convulso ... ma di colpo ... può accadere
di cambiare partitura, con nuove
note, e false.
Nessun applauso. Solo
quel canto possente ... Curvo sulle rovine, un uomo cerca
qualcosa che non sia stato distrutto ...
cantando, senza tregua, senza badare al tempo ... correndo,
nella selva ... e il mare, sulla scena il mare
infuria contro la terra, con amore,
con amore ...
e si mette a cantare,
senza sapere
le parole ...
e il canto,
siderale, par che annunzi un canto migliore, un'altra logica, un canto
da mettere al negativo ... Ma la sua musica non val niente, è troppo
arida e astratta per chiunque, eccetto
me ... Cerca un nuovo
insieme
ché l'uno non riesce, ma uniti.
E' un nuovo insieme che cerca quando, tornato sulle cose,
si mette a frugare tra le macerie, nel guasto, tra lo sporco della folla,
nel marcio, tra le avversità ... Viene dall'orrore, ma non va verso
l'orrore ... Cammina lento, nel buio della scena, guidato
dalla certezza che nulla sarà
come prima ...
E già mille voci cantano mille canti più profondi e dolorosi del suo,
migliaia di canti hanno iniziato a vivere in lui, per non morire ... canti
nel vasto buio ...
per non morire ...
Non ha che la scena ...
E il patto stipulato in quel punto
si rompa



(un racconto di voci, in forma dunque di candida prova)

... e tutto lo slancio
del canto ove i ritmi affannosi e il moto
esauriente, e tutte le occhiate e tutte le idee,
e i concetti che ci hanno aiutato, e le nozioni
e il nesso dialettico fra coscienza e realtà
sociale, e le cariche demistificatrici, formidabili,
e le ricerche ossessive, dalle quali dobbiamo
ancora attenderci delucidazioni, e il magma
polemico, e le categorie non pretese
assolute, e la coscienza sottratta al mito,
e il mondo come realizzazione dell'uomo,
e infatti abbiamo fatto il nostro ambiente
e noi stessi e insieme siamo un unico processo ma
abbiamo fatto anche l'alienazione e ci siamo
arenati, disgregati dentro, ci siamo
umiliati ...
Glaciazione ...
... E' accaduta
la città futura, la nuova Computer City, mobile
e flessibile, instabile come il lavoro, religiosa
e festosa e fanciullesca e innocente e candida e piena
di stimoli per gli intraprendenti e libera e dolce
e produttiva di solidarietà e di volontariato e di servi
dello stato e si parla spesso del cambiamento e
della gente che è stufa e che sbuffa e che sta ferma e
che viene tenuta al guinzaglio e controllata e si presuppone
una finta emancipazione che così siamo contenti
e ridiamo volentieri e ci divertiamo di fronte allo spettacolo
della crudeltà e più o meno direttamente si riparla
della patria e dell'onore e delle energie militari e
il mondo è una bomba ad orologeria è una distruzione
virtuale è una minaccia reale e può accadere
di essere sedotti dal mondo così com'è ...
L'illusione
di essere liberi ...

scarti, residui di storie, scorie
di argomenti, e la barbarie a sprazzi:
questo il mio poema, il mio soffrire:
senza esatta misura la sua trama
sanziona l'erosione dentro, e sommo
ciò che vale a scarti residui di storie
e scorie: questo il mio poema, il mio ciclo
vitale ...
Il rischio è che sia un mero
artificio verbale



(in questo luogo si prova con il fiato di un nuovo amore)

- che cosa sta accadendo?
- si declama, ma l'esito non è certo
- che stravaganza è?
- la presa di coscienza del silenzio
- la fisionomia è quella del panico
- suppongono che il fastidio sia definitivo
- noto una confusione. Non colgo alcun nesso
- la dispersione è parte del tentativo. Ha forma di schiamazzo il legittimo divertimento che i bambini aprono nelle sabbie mobili dei cortili
- ma tutto ciò è inutile!
- poiché appare ignobile ciò che con perseveranza tende alla propria assenza
- tu chi sei?
- il mio mandato è la variazione
- sei un sicario?
- sono la consapevolezza di quel che varierà nel fastidioso frastuono che durerà l'ipotesi di un'ora
- non ti seguo
- ti invito a partecipare a questo lento disfacimento
- penso di non aver capito
- noto un fremito di piacere nella tua voce
- c'è qualcosa che mi rende partecipe nel progettare lo spartito
- perché spegnere la fiamma che brucia nella lingua?
- il tormento è appannaggio degli schiavi
- non siamo altro che sudditi. Il tormento rende capaci di grazia
- temo di possedere una voce inquietante
- sul disegno della tua incoerenza altri può spiegare vele di equilibrio
- la forma che la mia voce è in grado di praticare è la sua frammentazione
- è la condizione delle Cose che ci ospitano. L'inadeguato esercizio cui vai ad articolare è deliberatamente pensato come un rimprovero. E il disprezzo è forma del cuore a pezzi nell'arido tempo in cui siamo abbreviati
- intendi dire che dal tempo ostile non si può uscire?
- a meno di renderlo accogliente
- ma la mia voce non può che farfugliare
- la voce non può nulla, né la parola. La scansione, per quanto bella o lucida, non può che trarre in inganno
- rinuncio a seguirti
- nella voce si annida la paura. La paura nasconde in sé il disprezzo. Il disprezzo può portare alla scintilla, e così via
- dunque ogni voce contiene la propria negazione: se declamo è per tacere
- per dedurre il silenzio
- posso cominciare?
- solo se è per rinunciare
- le voci che sento mi attirano
- la finzione che ha per fine sé stessa è solo una manifestazione del disprezzo
- posso cominciare? voglio partecipare al disprezzo
- attento, è la sconfitta il prezzo
- sento voci che incalzano parole. La procedura adottata le decompone: franano, le parole
- la lingua che designa il disprezzo si esprime come può
- voglio scrutare le cose dalle parole della voce
- devi scrutare le cose e le parole, e i modi della voce
- abiterò ogni parola: ogni sillaba è un abisso dove il mondo è descritto tramite la voce
- vanamente ...

(su di una nave inventata nella scena del naufragio)

Non ho che la scena.
La mia contro la vostra.
La mia scena di Storia e Conoscenza.
Franta e lacerata. Argilla che frana

E' come un soffio
d'amore la mia scena
di sberleffo e tendenza, la mia scena
d'artificio. E' l'elogio

della Finzione.

No, non firmerò
quel foglio di resa!

Quel che dirò
è la cosa reale
che mi smerdo sulla scena

Quel che sarò
è la cosa possibile
che mi fingo sulla scena.

Irruenza, passionalità, affanno a volte e contraddizioni

nello spazio-tempo della mia scena
forme di pensiero aspro e radicale:
né dramma né tragedia, quel che s'avvia
è il mio mugugno. Tendo la mia scena
sulla nausea inflitta al corpo

dal Naufragio.

No, non sono impazzito:
il Naufragio dell'Utopìa, siamo qui
per questo. Ma chi
crederà che il Naufragio
sia reale? Eppure l'usura
è palese: le perdite di tensione
logorano e manca
l'indicazione che l'Uomo e le Cose,
pur procedendo a tentoni nel vortice che finalizza ogni scossa ad uscire dall'attuale
presa omicida, possano un giorno
inventare,

e inventare soddisfatti.

Fuori la scena
ci sta, annoiato, il Mondo:

questa selva selvaggia ed aspra e forte:

che le Cose si agitano, fremono
nel tempo ritenuto
salvo da nefasti eventi e sventure:
massacrati con bombe
non c'erano morti, no, non c'erano
quando discesi dall'alto i Chirurghi
in bagliore di fuoco
le Città uccisero, e l'Uomo. Il volto
della Barbarie
crudele si mostrò. La vergogna

che tu conosci e nascondi

non s'insinuò
nello spettacolo superfluo, né l'orrore,

se non in cifra d'incasso.

Così va il Mondo ...

Non ho che la scena.
Sulla mia scena fingo un Naufragio.

Onde, mare
nero, ad esempio,
e schiuma e vento per un'intera giornata

(vento di destra)

Nell'anomàlia Italya
mi confonde la vista l'ostinata
sabbia e se parlo, nel buio, esitante,
imitando voci e gesti a indicare
un tempo privo di Significato
(si respira un'aria di Regime)
è per declamare nell'infernale sera
di cielo arroventato la mia ira:
nella sanguinosa mischia
la mia rottura - ma il discorso
non è lineare:
nel contesto delle righe nel reale che non vale
l'accordo dunque accade, lo squillo
nazionale -
qui le fila si mescolano,
quel che cercano è l'accordo. Le opinioni
convergono
e non già una folla
calpesta
cruenta la polvere, nel punto critico
non s'inventa la frattura né falle
nell'assedio

E' vero: abbiamo perduto
la Dialettica e la Critica, il tarlo
della Contraddizione. Allora mi trascino
carponi lungo la spiaggia e fradicio
ricomincio l'Errore. Nel letargo
che è la città dolente,
solo, stanco, sillaba
dopo sillaba declamo il Dubbio.

Non ho che la Scena.
La mia contro la vostra.
La mia scena di tormento e disprezzo.

Nel recinto della scena
oscena l'Attore e lui solamente
coglie applausi o fischi
quando indica il Mondo. Ogni parte
è duro monito, presagio
d'inconbente sventura.
Ma anche questa scena
andrà in porto, derisa magari,
non conclusa, ferita
e lui, l'Attore, davanti
allo specchio di nuovo
si sbrigherà a levarsi
il trucco, e ogni spasimo
di Finzione alla fine
e ogni carica di ricerca puntigliosa
sulle cose, ecco, l'acqua laverà
ogni memoria, e lui

messo al bando,

come altre volte.

Non ho che la scena.
Per ipotesi sulla mia scena il Naufragio.
In questo teatro abbandonato e campo
di battaglia - chi crea
vuole la distruzione -, la mia scena
si organizza in esercizio

e montagne di rovine. Non un'anima

Tutto ciò che vedo è frangersi d'onde
e sospiri
lacrime
desolazione
sulla riva rovi e disperse vele:
ogni speranza è vana. Confuso
col vasto mare tremo
a sentir quel che fu l'ansia

di cercare ancora:

nebbia onde
luci e risa
trame d'amore

lasciami cercare se morirò
morirò cercando

Brucia in me il disprezzo
ma la morte incede

Un gran numero di navi

finché nacque da destra un vento sferzante

Oh mari, soli, stelle, venti,
quel che resta di voi: sudore e ferro
sulle rocce brilla - paura! - il limite
oltre no, non si può:
il timone - oh, tutto è inutile!

le onde fino a morirne:

dispersi cercando
un appagante amore.

Intervenne
un tale mutamento nelle Cose
che fummo i primi
a veder la prua
infrangersi
in quel tonante mare:

e il naufragar non fu dolce!

Ombre e silenzi. Non sento
il più piccolo suono. Sterili
passarono
giorni di pena
nell'affanno a resistere persino i passi esitano nel tempo
breve: con misura non sacra s'apre
sull'ira il manoscritto - la forma
dell'orrido fissata
mentre
in solitudine e maligno
verifico
l'esercizio della scena

(oh, la mia scena!)

in miscuglio mortale
le parole, il metro della voce:

la Parola
nell'itinerario della Voce
deve urtare, creare
dibattito - incastrata nelle frasi
d'un evento calcolato
male
vuole
provocare - esiste
per altri, come coscienza reale,
franta, un lungo solco,
esiste scossa, frammento
di coro
fatto apposta per l'eco delle piazze:

fallire è questione di un attimo.

Non ho che la scena.
La mia scena di Citazione e Plagio.
La mia scena combinata in frammenti:

inutile fracasso, sangue ancora
e crisi di nervi

(chi all'altrui lingua impone sbando
entro l'orrore d'alta prigione
andrà, poiché ferro mortal nel core
di bene altrui ha fitto):

giungon voci dal fondo
della mia scena. L'unghiata
di Sicario che vado
sulla mia scena proponendo
non ha altro Senso
che questo:

l'enigma il sospetto la strana procedura
conosco la manovra d'esposizione
non collaboro e non tollero
quel che più mi dà gioia:

sperimentare

nuove verità, sfide e poesie.

Non ho che la scena.
Sulla mia scena ancora il Naufragio.
Mai sentito tanto silenzio. Scena
alla deriva:

i frantumi della Storia nello spazio
precario della mia scena. Tutto
intorno alla scena si muoveva:
(una svolta autoritaria):
la nave veleggiava
con dolcezza, con dolcezza,
il cielo compariva grigio,
andavamo alla deriva
nei crollati anni
e ci siamo arenati:
saliva da destra lo scirocco
fortissimo che devastò.

Non ho che la scena.
Sulla mia scena di rovine traccio
l'abbozzo
dell'ultimo atto

il Fallimento. La Passione
il Progetto. La Catastrofe

finale:

a strati di onde completo l'inizio
tenendolo in sospeso. E attingo
dagli avvenimenti:

armi
denaro
verbo

son baci che voglio

Travolto
mentre dal ponte scrutavo
l'orizzonte

Ci sono, durante il Naufragio, momenti dove non si sa troppo bene
quel che si fa. L'orizzonte viene modificato di continuo
dal vento sferzante
e le frontiere sono mobili e aperte
e ancora si può provar meraviglia
a resistere
lungo la rotta. La volontà di approdare
costringe
a un nuovo modo
di osservare
tutte le trasformazioni che avvengono brusche e improvvise folgoranti
una frazione di tempo piena zeppa di futuro. Mi sciolgo
nel viaggio
Con fatica resisto il mio posto
è qui in mezzo alle acque su cui mi muovo
senza voler morire. Posso solo
entrare dentro le affermazioni
discordi
delle Cose e far crescere un patto
colmo d'avvenire:

un pugno di tronchi
con cui cotruire una nave, e briganti
bucanieri e ladri
su di una nave
che non era una nave:

un verbalismo, una vuota frase:

il metodo diventa lo stile.


Disperso
nel mare tremante
rullìo di onde
distesa d'acqua
la mia parola non è chiara
l'orizzonte è un incubo
esiste il mare
minaccioso
che mi cattura
pesano le vele
nel palpito d'acqua
la carne si smonta
nel sussulto concreto
ma impercettibile
di rovina

In ogni istante mi è bagaglio il mare.

No, non conosco
la prossima mossa.

So che quel che s'agita
sulla mia scena
è Dubbio, l'incognita
di un nuovo amore:

son baci che voglio
ognuno un groviglio

ogni scossa trave a proceder per schianti
sull'orlo dell'onde

Continuerò a farfugliare di tempi
più felici finché qualcuno
mi romperà il cranio. Resterò
come in bilico
sui marci legni del Naufragio, scosso
dalle onde, inutile,
guardando il sole:
ho perso! ho perso!
griderò senza fiato
e resterò muto sullo sfondo, teso
e irritato, e guarderò
l'osceno della mia scena audace, ricorderò
di come uno dopo l'altro caddero
esposti all'assalto
del vento. Proclamerò
con altri ritagli
ciò che noi siamo:
silenzio e parola di cenere, siccità
che devasta i campi, bastioni
e spade:
ed io
a riordinare
i frantumi
l'unico residuo di resistenza.
E le scure e lente voci fuori campo:
Cerca di smettere, cerca di,
e morirò
senza che nessuno dubiti. Con la lingua
di fuori mi ripeterò ancora
una volta
nulla di male a cercare,
nulla di - e spirerò,
spirerò, ahimé, senza parlare.
Non avrò niente da dire, niente, neanche
una sillaba.
Sul ventre
mi resterà un cartello:
io ho cercato altre ipotesi
nel guasto del mondo. E resterò solo
sulla mia scena, sulla mia scena
distrutta, in piedi
sulle macerie della mia scena,
come da copione. Contemplare
il mare spacca il viso. Ero
sul mare quando la nave
partì in mille pezzi.
Con il Naufragio
svanisce
la memoria
del viaggio
E passa, sullo sfondo, delle varianti
la più ingrata:
continuare.
Non c'è pubblico, ma declamo
ugualmente. Sulla mia scena
è ancora
il Naufragio dell'Utopia.

Sulla scena io con la corda al collo
colui che non conosce
che la variazione



(ripresa per fischianti bocche. Nota per domani. Chaos in corte)

che attraversa verso
con passo incerto, e resistendo
in intrico di dubbi muove indizio estremo di mappa, di tentare
tremulo ritmo in muoversi
disordinato di molti
(per certo si muovono, calcolati
e dunque sostenere (e cauti e sospetti
l'esistenza di cose in qualche modo vitali
che non denaro, scambio
(: il proprio lento disfacimento mentre progetta
un rovinoso crollo: la città, questa
robusta e grave:
castello, allora
ma il castello stesso, dunque
anche instabile, sì che basterà
azione collettiva per far rotolare
staccare disgiungere far ruinare:
in quel punto toccherà sperimentare
e altrove,

e poi
noi, sdegnati
soggiornando in città (: corpo morto
che molti cercano rianimare
nella solennità di formule
supposte uniche
e libere:
la libertà in teoria
e non restrizioni, mentre
il vero valore
è astrazione cui solo la vendibilità
afferma alto

procedere produce discontinui, ma supponiamo
di supporre che qualcosa: occorre
ipotesi incauta:
non obbedire

questo itinerare
non fuga, piuttosto disegno: bozza umida
una supposizione, essendo la città
odiosa di certo, e la sovranità
giustificata dalle formule, astute regole
miste linee abbaglianti. Ma allora
fragoroso il comune insulto:
che il segno indichi
sensato movimento, terremoto
non dissimile da scandito termine
(: il ritorno delle onde sembrerà di udire a folate
una bizzarria d'acqua tanto improvvisa e intensa da smuovere
tutte le nostre navi:
un vento sferzante
nacque da destra

e qui, ancora
portare scompiglio alla mite città, devastata
e la catastrofe (il naufragio
prendiamo atto della strage elaborata per mano
dell'incasso calcolato. Suggerire
d'essere in prima persona
usurpatori di ore che per certo
non ci appartengono, né la città
ci appartiene:
ci ospita, e ci indolentisce
e se vi sono poteri, occulti
e non, dei quali con certezza si può dire ingiusti:
l'usurpazione del tiranno,
questo occorre

tutta una folle occorre che emetta misura in chiara coscienza
se l'enorme veleno ha intollerabile l'inabitabile città resa lamento
nominando ad un certo momento la possibilità che vi sia diverso
e in concreto l'accadere accada in tal luogo nell'ipotesi
dell'esperimento:
con un brivido si stacchi la prova dal buio
esile e acuta forse riesce dando spallata all'afono castello
ora che prorompe sulla scena in presenza di sfida
(: ma custodito il rancore
mentre disgusto diventa pallore e taciti giuochiamo ridenti a pallone
un segnale anche minimo di ribellione sarebbe pericoloso e dunque
quel coso titolare di violenza eccessiva affermiamolo innocente
veramente
mentr'io impenitente amo
il sole contrario che irragia sul mare un coro di altra pratica e sono
ebbro dell'incrinatura e dell'eccentrico incastro stilato in tentativo
di Ultimo atto
(e tutto il resto è realtà

sebbene dispersi ci siamo definiti e come in transito incerto
mentre il nodo si scioglie e gli ormeggi non trattengon le navi
or descrivendo dei baci che voglio ognuno un groviglio or dirò
il terrore difficile negare dei colpi di cose supposte naturali
ma diciamo che l'ipotesi che riporta alle scorie della storia
e in estremo all'economia:
questa intendo vada oggi riconsiderata
e la modulazione del sapere provi a caricarsi del contradditorio
che lo si supponga anche
derisorio del vento che ci fece annegare
e qualora ciò non basti ed è pur vero che non basta mai
il conflitto
che esca dal tenue vocìo
a farsi insistentemente insidia articolata
con prorompente azione
di folla



(Faust il sipario e le cicatrici. Finale provvisorio)

Non una voce
un suon
Solingo, dolente
languente

Quest'impotente argilla
è in me scintilla:
a, bi, ci,
zeta lucente
alfabeto fetente:
amore, morte
uomo lingua
lama
oro
bellezza

Nè sapere
né successo
ahimè

Solo un deserto di amarezza

Uscivano spilli e fili di bava
spreco il fiato. Disperata
aridità
Scruto
le cose, l'uomo
Immerso nello studio
invano
Canto
declamo e cancello
raccolgo cocci:

inesatezze, falsi
accostamenti. Libri, pergamene:
in panni altrui
la gioia,
il dolore - con spargimento
di sangue:
un attore,
nient'altro. Semplicemente
un corpo, un insieme
di segni
Intorno alla scena
c'è il mondo. Dentro la scena
ci sono segni. I segni
sono incerti
A lungo
in silenzio. Tra il Nulla
e Nessuno
l'aspro mare. Alle spalle
le rovine d'Europa



(ma lui continua a fissare lo sguardo su quell'ideale lontano



Nevio Gàmbula, 1995

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ultimo aggiornamento: lunedì 10 dicembre 2001 22.53.06
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