1)
Dinanzi alle molte “riforme” del governo di centrodestra, alle cosiddette “gaffes” di Silvio Berlusconi, alle tracotanze “padane” di Bossi e dei suoi seguaci o sudditi ecc. , molti giustamente si preoccupano per la tenuta e la conservazione della democrazia in Italia. Pochi però (a parte alcune giuste osservazioni di Edoardo Sanguineti in un’intervista, rilasciata nei primi di ottobre 2003 a “Telecittà” di Genova e le cui parti essenziali sono state pubblicate ne l’Unità del 20 ottobre a pagina 23) (e qui riproposta, ndr) hanno sottolineato (e ragionato su ciò) come talune cruciali “riforme” del centrodestra (specialmente quella della scuola e quella del mercato del lavoro – per dire delle più nefande) non fossero altro che il completamento di “riforme” già avviate dai precedenti governi di centro sinistra a dominanza diessina (cioè della sinistra detta “moderata” di D’Alema, Fassino e soci). Lo so, prima di Sanguineti altri ad una tale continuità hanno fatto riferimento con accenti critici nei confronti del centro sinistra, ma nessuno è stato chiaro come lui nell’individuare nella nostra Costituzione Repubblicana non tanto un “sistema di valori” da difendere contro ogni oltraggio o manomissione quanto un vero e proprio programma politico da realizzare e attorno al quale unire le forze democratiche e antifasciste
C’è dell’utopia in tutto ciò? Sicuramente, data la situazione attuale (non a caso il richiamo di Sanguineti è stato subito rimosso e persino censurato nei “pensatoi” della sinistra meno “moderata”: non me ne faccio un problema: oramai mi è familiare l’ignobile settarismo di quei “pensatoi” nei riguardi di tutto quanto viene dalla famigerata – ma oramai defunta – “Neoavanguardia” italiana). C’è dell’utopia – ma l’unica sinistra possibile in Italia sarà quella che farà della Costituzione repubblicana il proprio programma politico. Dati i tempi a secondo la migliore tradizione democratica italiana multipartitica del secondo Novecento.
2)
Il movimento italiano del ’68 oltre a tutto il resto, considerato nelle sue conseguenze sociali, culturali, di idee e di costume è stato la seconda (dopo quella del ’45) grande rivoluzione democratica nel nostro paese, in epoca ancora fascista. Molti nel farne la storia hanno preferito porre l’accento sulle cianfrusaglie ideologiche e politiche delle minoranze auto-referenziali o sui suoi tanti esiti di natura militarista e violenta (io non ho mai sottovalutato – e i miei scritti del periodo lo dimostrano – né le prime né i secondi). Molti, cioè, non capirono (compresi i recenti – e in sé stupendi – films di Bertolucci e di Bellocchio che tematizzarono aspetti soltanto parziali e di pura apparenza benché con molto sentimento e intensa pietas letteraria). Nel suo insieme non capì la “classe politica” italiana (sinistra compresa) e gli “atti” anche recenti sono lì a dimostrarlo (sino all’ultimo serioso Per passione di Piero Fassino).
E, per conseguenza logica, non capirono gli avvenimenti storici successivi (le lotte e le sconfitte, la restaurazione, la violenza armata diffusa, il rinculo della sinistra medesima, la rivoluzione capitalistica degli anni ’80 con la fine del fordismo e la cosiddetta globalizzazione a dominanza finanziaria e neoliberista, lo sfacelo dello stato democratico precedente ecc. fino all’attuale degenerazione mediatico-autoritaria berlusconiana).
Personalmente sono convinto che la “crisi” della democrazia italiana incomincia quando alla fine del 1989 l’ex PCI – a partire dalla famigerata Bolognina di Achille Occhetto – autoimplode rinnegando “un passato che non andava cancellato o rimosso, la caduta del muro di Berlino, ma che andava rivisitato criticamente e laicamente superato senza residui” (e queste sono parole di Bruno Trentin – e cfr. l’Unità del 3 novembre 2003 – e Bruno Trentin, com’è noto, le lotte e le sconfitte successive le aveva vissute da intelligente e mai “estremista” protagonista). Con tutti i suoi errori e difetti (basta studiarla la storia del PCI e leggerseli bene gli scritti di Togliatti, specialmente i discorsi rivolti alla sua base di massa e i discorsi pronunciati in Parlamento).
Il PCI per oltre mezzo secolo (sin dagli anni trenta della lotta antifascista clandestina) era stato uno dei maggiori pilastri della democrazia italiana (democrazia di idee e democrazia di massa, di popolo).
Non casualmente all’auto-scioglimento del PCI (con tante contraddizioni, si capisce, e conservando quasi interamente il medesimo gruppo dirigente di prima di cui gli attuali D’Alema, Fassino e soci sono eredi che al potere ereditato non rinunciano mai) fa logico seguito la campagna per il “maggioritario” (in alleanza – guarda caso – con la destra democristiana e la destra populista) che costituì il primo grande stravolgimento della Costituzione democratico-repubblicana e che ha poi aperto le porte all’avventura mediatico-autoritaria di Silvio Berlusconi e del suo partito-azienda (cui si aggregarono tutti i residui a-democratici del peggiore Novecento politico italiano marginale).
Il presente è noto. In esso valgono come caratteri essenziali a) la decomposizione sociale conseguente alla rivoluzione capitalistica postfordista, e b) la politica dimagrita e divenuta macchina impazzita (del quale ‘impazzimento’ è un sintomo assai poco controllabile l’attuale micro terrorismo marginale ma pericolosissimo per la nuova democrazia cui possono dar vita i movimenti sociali nuovi). Ma se si incentrasse sulla Costituzione il programma politico della Sinistra che fine farebbe la generica “modernizzazione” di cui parlano D’Alema e Fassino?
3)
Mi domando se c’è un nesso tra l’auspicare – per la sinistra di questo paese – un programma politico che sia incentrato sul proposito di porre in atto tutto ciò che è previsto dalla Costituzione repubblicana del ’48 (il che implica – oggettivamente – una battaglia contro tutto ciò che tradisce o manomette le indicazioni costituzionali) e il lavoro che i recenti movimenti (non solo italiani) stanno compiendo tra enormi difficoltà (e battendosi contro i nemici di ogni democrazia) per costruire una nuova democrazia sociale e politica diffusa globalmente e localmente.
In superficie il nesso c’è perché si tratta di allontanarsi dalla vecchia e nominalistica concezione illiberale del socialismo e insieme dalla pratica autoritaria del neoliberalismo post fascista che pone al centro dell’attività economica “mondializzata” (avvalendosi della rivoluzione informatica e della subunzione della comunicazione) il profitto delle Corporate e la speculazione finanziaria riducendo ogni residua funzione dallo Stato alla semplice funzione militare (ma anch’essa sempre più privatizzata, come accade già negli USA) e dal controllo sociale sempre più esteso e totalizzato. Attualizzare la Costituzione repubblicana come programma politico significherebbe opporsi alla attuale globalizzazione neoliberalista, porre in primo piano i diritti dei cittadini e lavorare per una diversa mondializzazione (democratico, sociale e rispettosa dei diritti di tutti).
4)
Grazie alle mediatossine che l’attuale situazione (di sviluppo della tecnologia comunicativa a dominanza pubblicitaria, propagandistica e di fabbricazione del consenso sociale) nutrono la mente sociale (un tempo si diceva “opinione pubblica”) una gran parte di cittadini italiani non s’avvede (non viene “informata”) del degrado economico, politico, sociale e culturale che è in corso nel nostro paese a partire dagli ultimi anni del Novecento e specialmente aggravatosi in questi anni del XXI° secolo contrassegnati dalla dominanza politica del clan berlusconiano aggressivo, incompetente e pasticcione (per quanto riguarda il degrado i dati ISTAT sono chiari e gli studi sociologici recenti di L. Gallino sono noti). Al degrado in corso il cittadino “medio” si adatta e ognuno cerca di salvare come può le proprie condizioni di vita (ma la “rabbia sociale” si espande e al cittadino “medio” del preteso “complotto giudiziario” contro Silvio Berlusconi e Previti e Dell’Utri non frega più nulla e inoltre sente che la “modernizzazione” tanto invocata da D’Alema e Fassino dev’essere una gran fregatura).
I modi e le forme dell’adattamento individuale e collettivo alle condizioni materiali del degrado in corso appaiono spontanei e necessari ma dipendono invece dalla attuale colonizzazione della mente sociale. Ma in Italia i metodi e i significati resi-immaginari grazie ai quali avviene la colonizzazione della mente baggiani e ripetitivi e contro la loro obsolescenza neanche Berlusconi, nonostante il suo onnivoro impero mediatico può far nulla.
Certo le mediatossine e la colonizzazione della mente sociale sono pericolose; ma - per fortuna - le neuroscienze (e le scienze della comunicazione) non hanno ancora compreso come funziona la coscienza degli esseri umani, poiché sono ancora vittime – nonostante tutto – dell’ errore di Cartesio.