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Bollettario.it - versione telematica del quadrimestrale di scrittura e critica diretto da Edoardo Sanguineti e Nadia Cavalera
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ESTRATTO


Nascita del Gruppo 93

di Nadia Cavalera

Bollettario n°4 bis

Questa cronaca è stata redatta nell'ottobre del 1989 e doveva costituire il pezzo d'apertura per un numero speciale di Gheminga, dedicato esclusivamente ai contributi teorico-critici e di scrittura creativa di chiunque si riconoscesse nel gruppo nato proprio dall'incontro descritto (e a conclusione del quale, in una trattoria milanese, ad opera di Corrado Costa, si parlò per la prima volta di Gruppo 93). Ma il numero non fu mai realizzato per la scarsa collaborazione subito riscontrata (premonitrice evidentemente di forti frizioni future) e la cronaca fu messa nel cassetto. Si pensava definitivamente. La ripeschiamo ora, dopo le recenti polemiche. Con la speranza che ricordare lo spirito del primo ed unico (perché al completo) incontro tra i maggiori rappresentanti della neoavanguardia e dello sperimentalismo con alcune giovani leve, possa tornare utile alla auspicabile ricomposizione di base. Per la fertilità di un dibattito i cui esiti sono tutti ancora da verificare.

Martedì 19 Settembre 1989.
L'incontro avviene a Milano, nella saletta sottostante la libreria di Michelangelo Coviello. L'appuntamento era per le dieci, ma non si inizia prima delle undici anche per il ritardo del gruppo, alloggiato in un albergo fuori città, a Cinisello Balsamo.
Al lungo tavolo in fondo, a cominciare da destra Corrado Costa, Edoardo Sanguineti, Alfredo Guliani, Francesco Leonetti, Mario Lunetta, Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Filippo Bettini. Di fronte a loro "in platea", Biagio Cepollaro, Lello Voce, Mariano Baino, Gabriele Frasca, Marcello Frixione, Tommaso Ottonieri, William Xerra, Franco Cavallo, lo stesso Coviello e chi qui scrive.
L'aria che si respira non è certo formale, né può o vuole esserlo in una circostanza in cui la volontà comune appare subito dalle prime battute quella di non formulare certo attente analisi o avanzare precise ipotesi, ma semplicemente di iniziare a prendere atto (di fronte alla crisi, sul fronte della letteratura e della cultura, della spinta moderata che ha caratterizzato l'ultimo quindicennio) di una realtà in movimento e tentare di prospettare iniziative idonee per l'immediato futuro.
A introdurre e condurre 1'incontro è Mario Lunetta, curatore con Franco Cavallo di una recente antologia "Poesia italiana della contraddizione", Newton Compton Editori), che mira proprio ad evidenziare quella che potrebbe dirsi l'avanguardia dei nostri anni, come lo stesso sottotitolo precisa.
Lunetta, dopo aver chiarito che la linea moderata è ormai senza smalto, alle corde, ne denuda tutta la mancanza di capacità teorica e di spinta innovativa, per poi soffermarsi ad indicare la realtà di un filone della ricerca letteraria di tipo innovativo, coraggioso e audace, che nonostante il prevalere quasi assoluto della linea neomoderata, ha sempre continuato a fare le proprie ricerche e prove. "? emerso in questi ultimi anni - dice esattamente - un arcipelago di ricerca legato alle giovani generazioni che mostrano con molta chiarezza ed autoconsapevolezza anche critico teorica di volersi rifare non pedissequamente a certe esperienze di grande importanza peraltro già storicizzate, ma di voler riprendere il discorso, critico, teorico sull'oggi credendo appunto che il luogo della letteratura non è sublimativo, e contemplativo platonico, pacificatorio, irenico, ma è un luogo di contraddizioni, in cui avvengono i conflitti e che fa parte della realtà con le sue luci e le sue sporcizie." A supporto della sua posizione ricorda proprio l'ultima edizione di Milano Poesia (nel cui ambito l'incontro si è potuto realizzare). "Non è un caso - precisa Lunetta che proprio quest'anno Milano Poesia abbia perso quel carattere farraginoso degli ultimi anni e si sia orientata verso una scelta di tipo avanguardistico che ci auguriamo possa mantenere, diventando un punto di riferimento importante per questa realtà che emerge decisamente".
La parola passa a Francesco Leonetti che nel riconoscere la presenza di questi nuovi autori che vogliono riprendere il discorso in auge negli anni Sessanta, traccia una breve possibile cronistoria degli avvenimenti che hanno portato alla riunione in atto.
Il suo excursus parte dai primi incontri tra gli scrittori e critici anziani con i più giovani al convegno di Palermo del 1984, sull'argomento epistemologico "Il senso della letteratura", incontri rafforzati poi nell'altro di Viareggio del 1987, "Ricercatori & Co." e subito dopo nel marzo dello stesso anno col convegno sulle riviste a Lecce, dove, precisa, "sembrò il tempo maturo per un rapporto che si usa dire tra generazioni, basato ciò sul criterio molto netto della reciprocità di riconoscimento". Da questa constatazione e nella stessa circostanza nasce a Lecce la formulazione di alcuni punti per una teoria della letteratura ed arte, poi meglio nota come "Tesi di Lecce" e prende così l'avvio un dibattito che, mentre si sperava più vivace ed ampio, registra invece un netto arresto. L'iniziativa langue per qualche anno. Perché?
Leonetti crede di ravvisare la causa dell'interruzione tra le Tesi risalenti al 1987 e la realtà odierna nel ritardo organizzativo milanese di Alfabeta (" allo stremo per un calo di tiratura e per l'immissione in edicola di altri strumenti critici") e nella crisi interna al gruppo direttoriale della stessa provocata "dal prevalere di una linea di pensiero debole e poi di attenzione al sacro che distruggendo la dimensione plurima delle indagini critiche da sempre caratterizzanti il mensile, lasciava intravedere ulteriori sviluppi della tendenza che filosoficamente veniva chiamata irrazionalistica". "La situazione - dice Leonetti - era insostenibile ed alcuni di noi, non solo io, ma anche Volponi e la Corti producemmo all'interno della rivista una interruzione con piccoli scritti di tensione". Chiarito ulteriormente il ritardo e riconfermato il suo interesse anche a livello della teorizzazione e della ricerca artistica (e dopo un accenno commosso al ricordo del critico, Filiberto Menna) Leonetti palesa le sue prime impressioni.
Innanzitutto sottolinea la discordanza tra l'ambiente milanese e quello romano per la presenza pesante e massiccia. del sistema distributivo e di circolazione di idee dei grandi gruppi editoriali: "Roma è viva per la sperimentazione, mentre a Milano, la contraddizione è oscura e incomprensibile". E per fornire un metro della situazione fa presente l'assoluta indifferenza da parte delle librerie (tranne quella di Coviello) verso il libro di Lunetta c Cavallo. Poi rileva un discorso non pienamente coerente, per la scarsa e difficile circolazione tra i gruppi di giovani di posizioni chiarite, per cui auspica l'accordo di un linguaggio comune pur in una serie di posizioni differenziate e che tengano presente la reciprocità nel campo delle arti (storica negli anni a cavallo dei Sessanta) per la forza -che offrono alle operazioni di invenzione radicale e innovativa. Leonetti conclude il suo intervento proponendo di favorire altri incontri per una "più piena ripartenza di quella che grosso modo forse oggi si potrebbe chiamare come tendenza, con almeno alcuni appunti se non definizioni".
Il rimando alla piattaforma scritta di posizioni che sono, le "Tesi di Lecce", serie di contributi teorici usciti sul mensile "L'immaginazione", è subito apprezzato da Lunetta che si augura l'aggiunta di altri contributi e la loro pubblicazione in volume.
La parola passa a Giuliani ma prima Leonetti fa altre puntualizzazioni ed esprime apprezzamenti vari su alcune tesi, tutte comunque, pur se brevi, definite "di tipo teorico critico, tagliente". Accenna infine vagamente alla possibilità di una nuova pubblicazione.
Alfredo Giuliani, dopo aver condiviso tutte le attese, ed espresso il piacere della scoperta di giovani emergenze "più interessanti di tante altre registrate in passato", esterna subito la preoccupazione che si crei un "fastidioso rapporto tra vecchi saggi e giovani dirompenti", in quanto non vorrebbe assolutamente avere niente da insegnare, ma piuttosto vorrebbe avere da imparare da loro. "In questa fase, dice. preferisco ascoltare". Conclude augurando la creazione di uno spazio editoriale in cui sia più presente questa emergenza di scrittura e invita a parlare della sua iniziativa Leonetti che prima si rifiuta, glissa poi conferma il tentativo di creare uno strumento che tenti 1'edicola ("più importante delle librerie") e che rappresenti il nuovo in letteratura, in sede artistica ed anche della critica.
Sostanzialmente d'accordo con quanto già detto, e in particolare sulle ultime osservazioni di Giuliani, circa il rapporto tra vecchi e giovani, è Edoardo Sanguineti che, richiamata brevemente la storia del gruppo 63, ne sottolinea il carattere non generazionale ("quello della giovane età era un criterio per così dire coatto"), ma costituito dal rifiuto di quanto li precedeva e di quanto stava loro intorno.
Preoccupazione fondamentale in quel frangente era "la possibilità di creare uno spazio alternativo rispetto a una situazione molto chiusa" non solo per loro che evidentemente ne avevano bisogno, ma anche perché "chiunque si affacciasse allora, in qualche modo, al lavoro letterario e culturale non si sentisse disperso". Sottolinea quindi la mancanza di comunicazione tra i giovani stessi. "lo credo, dice, che noi oggi siamo riusciti ad identificare i giovani, o meglio loro si sono fatti identificare, ma sono altrettanto convinto che in una situazione molto apparentemente omogenea come quella culturale italiana, dove i mezzi di comunicazione di massa dicono, tutto, a tutti, ma coprono anche tutto a tutti, manca la comunicazione. Ci sono giovani certamente a Rivoli come a Siracusa che si credono totalmente soli al mondo e possono scoprire che altre persone hanno delle parallele insofferenze di scrittura, di riflessione teorica, di dosaggio critico, di posizione nelle scienze umane, di articolazione di quella che io continuerei a chiamare la cultura dominante e le idee dominanti della classe dominante".
Come risolvere il rapporto generazionale? Sanguineti non ha dubbi. "Molto semplicemente - dice - non in una sorta di prolungamento di complotto, ma come idea in fondo di ripresa di quello, che c'era di più autentico nel gruppo 63, cioè il non essere una generazione, ma solo uno spazio di colloquio, di confronto, di ricerca. Questo spazio, chiuso per tante ragioni non solo letterarie. ma prima di tutto extraletterarie, oggi si può riaprire. Naturalmente non è il vecchio gruppo, la situazione è completamente mutata, ma non è (se non perché è passato del tempo), radicalmente diversa da quella che faceva sì che allora chiunque di noi trovasse un giovane in difficoltà gli porgesse quelle strutture che si avevano a disposizione". Sanguineti insiste quindi sulla necessità di rioffrire delle strutture che permettano ai giovani di conoscersi tra di loro. Importante inoltre per lui, come già aveva accennato Leonetti, "un lavoro di tipo interdisciplinare perché il giovane oggi che lavora possa essere in piena armonia con quello che potrebbe accadere in maniera analoga nelle arti figurative, nella ricerca.
musicale, nella riflessione antropologica, nella metodologia. Ciò che Sanguineti rifiuta e che i più anziani si presentino "come padri garanti o fantasmi che riemergano dopo un tardo periodo di latenza". Auspica invece che siano considerati solo come "coloro che avendo attraversato determinate esperienze e disponendo di qualche strumento organizzativo, perché in grado di elaborare una antologia, di ipotizzare un periodico, di organizzare letture di poesia come Milano-Poesia, possano dare dei contenitori". Come Giuliani, sollecita poi i giovani presenti a parlare, ma prima palesa la sua unica perplessità circa il grado di armonia reale esistente in questo momento tra il discorso sui testi e i testi stessi. "Io ho l'impressione - avanza - che esista ancora, non so se per il momento o fatalmente (ma questo non è paralizzante di per se stesso, può anche essere positivo), una certa disarmonia prestabilita tra i testi che vengono prodotti e la definizione ed elaborazione teorica. C'è probabilmente un'ansia di trovare dei punti di contatto, ma credo che la verifica dei punti dell'incontro sia ancora molto problematica. Cioè esistono dei livelli, non so a chi tocchi fare il primo passo, ma credo che occorra fare dei passi da una parte e dall'altra, anche dei passi di dissenso, ma fertile perché è utile forse ricordarlo, ma ai più giovani può giovare, nel gruppo 63 non si faceva che litigare quindi sarebbe un peccato se non si litigasse anche oggi, nel riaprire un discorso di ricerche, di problematiche, di tendenze". L'invito a litigare di Sanguineti serve a scongiurare il possibile rischio, avvertito anche da Giuliani "di dare per scontata una sorta di facile intesa perché i giovani sono ansiosi evidentemente di trovare un loro configurarsi anche semplicemente come possibilità di rapporto, di chiarimento reciproco, di incontro, di comunicazione culturale. C'è un discorso teorico che è ansioso di trovare verifica sui testi, ma c'è anche un rischio di impazienza. Sanguineti invita quindi a "non celebrare matrimoni troppo in fretta per evitare poi divorzi dolorosi" e nel rinnovare l'augurio "al fertile litigio che bandisca qualsiasi elemento equivoco che renderebbe provvisorio lo stesso rapporto", suggerisce ai giovani singolarmente o per gruppi di iniziare da ciò che a loro non piace: "insomma ragazzi, per dire amici, nessun facile idillio, siamo qui per litigare". Rafforza quindi il suo intervento con degli scorci vivaci dell'incontro di Palermo nel '63, quando "con gli uomini del riflusso per tutta una zona di insoddisfazioni emersa prepotentemente si arrivò non solo alle parole, ma anche alle mani".
Iniziano a parlare i giovani. Il primo è Lello Voce che legge una sorta di documento stilato dal gruppo di nuova costituzione che si riconosce sotto la sigla di Baldus. Questo documento, a detta dello stesso Voce, non vuole essere risolutorio, a nessun tipo di problema sul tappeto, ma mira soltanto ad individuare le aree per loro più interessanti dello stato della ricerca attuale c tentare una ipotesi di soluzione per il lavoro del loro gruppo. Questi i punti essenziali del documento non ancora ufficiale:
-breve analisi degli anni Ottanta quali anni di riflusso letterario con l'individuazione però di un movimento positivo sulla base di una rinnovata nozione di materialità della. Scrittura e di sperimentazione.
- tensione a riformulare un progetto di scrittura alternativa.
- necessità di un lavoro teorico letterario in cui il contributo creativo sia strettamente collegato a quello storico e critico.
- richiesta di una teoria che istituisca a suo fondamento la rilettura dell'esperienza sperimentale negli ultimi 30 anni, illuminandone tutte le aree così da tentare di definire 1'evolversi della funzione oppositiva del fatto letterario.
- definizione del campo letterario nel progetto di poetica quale campo essenzialmente intertestuale e sincronico, per il cui attraversamento risulta indispensabile il criterio della tendenza.
- fede nelle varie strategie di contaminazione da sostituire alla vecchia dicotomia tra lingua ordinaria e lingua seconda in cui realizzare lo scarto in quanto la lingua ordinaria è già in partenza estetizzata come comunicazione sociale.
- nessuna preferenza per la centralità del soggetto o per la sua disseminazione.
- possibilità per il testo di veicolare indifferentemente frammenti narrativi c coaguli di significanti.
- pratica testuale costantemente critica nei confronti dell'io lirico.
- pratica della citazione come lavoro di contaminazione tra diverse realtà linguistiche e che abbia come obiettivo la trasformazione e torsione dei materiali utilizzati a livello di micro e/o macrostrutture linguistiche.
- nessuna fede nell'utilizzo neutrale dei lacerti e ciò non tanto per cosa si cita ma quanto per come si cita.
- individuazione nell'allegoria quale terreno privilegiato per la conservazione c lo sviluppo del rapporto del testo poetico con la dimensione extraletterale.
- assegnazione alla poesia in quanto lingua di una funzione essenzialmente comunicativa per cui avversione per l'enfatizzazione del significante e proposito di indagare attraverso la complessità dei livelli testuali la complessità del reale.
- apertura ai dialetti come alla citazione ma rifiuto di qualsiasi nostalgia purista e sul versante dei dialetti e su quello della lingua.

Finita la lettura del documento è la volta di Biagio Cepollaro che, dopo aver sottolineato "la diffusa rimozione a livello generale della dimensione teorica, parallela alla produzione creativa, che è complementare all'enfatizzazione della dimensione miracolosa della scrittura, col conseguente rifiuto da parte dei poeti di parlare sulla scrittura perché in sé imprendibile", raccoglie l'invito di Sanguineti a cominciare dalle critiche e precisa subito cosi che se per il gruppo il bersaglio polemico principale è costituito dalla parola innamorata come dimensione della poesia del riflusso, anche la neoavanguardia è presa di mira". Perché? Il gruppo Baldus ritiene inadeguato il lavoro svolto sui linguaggi, negli anni 60-70, in rapporto alle condizioni dei linguaggi oggi. Inoltre lo sforzo di immaginare "una risposta diversa, come d'altronde doveva essere in quanto cresciuti nella dimensione del Postmoderno" mira anche a scongiurare "il rischio di un'accademia dell'avanguardia". Cepollaro ammette la possibilità che i loro testi non rispecchino le loro intenzioni per poi soffermarsi sull'aspetto che maggiormente distingue le loro. produzioni: la maggiore contaminazione con i dialetti degradati, con i linguaggi del '200 e '300 che sono "la spia del Postmoderno, cioè della parte più vera nella condizione postmoderna"; la sincronicità che "non è solo espressione ideologica, ma anche una condizione tecnologico-esperenziale degli ultimi anni". Infine si dichiara completamente d'accordo nel favorire la circolazione di idee con riunioni e riviste.
L'intervento che segue di Mariano Baino scivola sulla sfera polemica tirando in ballo Giorgio Manacorda (che dalle pagine di Repubblica ha liquidato grossolanamente il discorso sulle avanguardie e la loro possibile prosecuzione o evoluzione), per concludere che "la continuità c'è invece e sta nei problemi". Inizia poi la lettura di un lungo articolo che intende pubblicare sul Mattino di Napoli, ma in giro c'è molta impazienza, Giuliani auspica che il livello del dibattito sia altro. E con Corrado Costa si parla dell'invadenza e voracità dell'extraletterario rispetto alla dimensione poetica e della necessità che quest'ultima pur fortemente minacciata non demordi, "L'extraletteratura - dice Costa - è molto vasta, vuole essere essa stessa la letteratura e in questo momento non lascia spazio alla poesia". A supporto della sua convinzione cita l'esempio della pittura dove l'interesse è diffuso e la competenza straordinaria (Pagliarani intanto, spostandosi in platea, alza una mano e a voce roca ammonisce quasi che "la poesia ha il privilegio di non emergere"). Sballata anche per Costa l'enfasi retorica di Manacorda che suggerisce solamente il dispiacere di fondo in molti che le cose possano cambiare da quello che è 1'immaginario collettivo". D'accordo sull'idea di spazio che ritiene profonda in quanto rispondente alle esigenze generazionali che talvolta emergono ("ci sono generazioni che si riconoscono, e altre no"), invita. a rimanere attestati alla discussione del testo mancata improvvisamente dopo gli scontri-incontri del gruppo 63, augura di potersi "vedere in faccia attraverso, la discussione del testo" e conclude che qualcuno è allarmato, ma è allarmato sulla zona del silenzio non nella zona della parola".
Interviene nuovamente Lunetta per ribadire la validità di alcuni temi già trattati da Giuliani nel suo articolo di risposta a Manacorda e tenendo a precisare che "l'avanguardia non è per l'illegibilità del testo (che in assoluto è pura idiozia), ma per una leggibilità altra".
Filippo Bettini a questo punto propone l'estensione degli interventi per un ventaglio più articolato e Michelangelo Coviello prende la parola.
Nel rilevare con pacata meraviglia la persistenza di una realtà di ricerca, Coviello sostiene che la contrapposizione di un tempo non ha più ragione di esistere, che a ricucire la ferita, la slabbratura tra le posizioni ha concorso già la sua generazione di quarantenni. Ma non precisa in che modo e procede discorsivamente in un leggero stato confusionale. Così mentre da un lato manifesta "tutta la sua ammirazione anzi invidia per i Novissimi cresciuti nella teoria", e ammette che questo stato di grazia alla sua generazione è mancato" riconosce però che "non esiste testo senza teoria e che anzi dove non c'è, si ha manierismo". Che fare allora in questa condizione? Riflettere sulla propria teoria con gli sviluppi conseguenti o abbandonarsi semplicemente alla furia scrittoria? Coviello è evidentemente per la seconda ipotesi, se ravvisa la spinta propulsiva alla scrittura nel bisogno ineludibile per il nutrimento dell'anima. "Perché scrivere poesia - si domanda infatti - se non è qualcosa di strettamente necessario alla sopravvivenza spirituale?"
Il rischio di assolutizzazione della poesia insito nell'intervento di Coviello viene subito colto da Mario Lunetta: "In questo modo - commenta - la poesia diventa un'ontologia infinita in cui non si capisce più nulla" e ribadisce poi che "se è vero che ogni testo ha la sua teoria è proprio su questa che ci si divide e sulla sua pratica perché veicolano posizioni rispetto al mondo diverse e che possono essere anche conflittuali".
Bettini insiste che il confronto non può che essere teorico, e interlocutorio, cioè di discussione: "In questa fase - dice - il discorso va fatto sui testi e un testo che sia privato delle sue intenzioni ideologiche perché aspirerebbe ad una dimensione non ideologica o di purezza, un testo che sia così totalmente scisso dal concreto evolversi delle cose e persino dal conflitto culturale, e non solo, ma storico sociale, francamente mi chiedo, cosa sia e che cosa rappresenti. Ma infine un testo che voglia ricomporre quella ferita vuol dire ricomporre la continuità della tradizione classica del Novecento. Ora si può anche rifiutare la nozione di ideologia, l'idea del conflitto tra avanguardia e tradizione, ma non si può riproporre il riferimento all'ermetismo e a tutta la tradizione del post-simbolismo".
Su "appunti in negativo e non verso nuove posizioni" verte l'intervento di Tommaso Ottonieri che, tra l'altro sottolinea di porsi in una "prospettiva di laboratorio e anche di movimento". Racconta la sua esperienza personale di scrittura libera, di rivisitazione di un testo, di un altro ordine di percezione estetica, del rock rivisitato e rifatto. Si dichiara poi completamente d'accordo con Bettini nel riprendere la nozione che nella sua teorizzazione forte è quella di deserto, in quanto la sua generazione non si riproponeva nel panorama forte di un orizzonte conflittuale definito, che era in qualche punto la grande congiuntura storica a cavallo degli anni 50 e 60, ma "in un panorama di azzeramento dubbio, ambiguo, dell'ideologia".
Ottonieri sostiene che c'è una confusione di situazioni in cui è difficile orientarsi privi anche completamente della speranza che la poesia si possa rifondare come si credeva circa 15 anni fa. E conclude: "Siamo in una situazione di totale spaesamento ideologico".
Più ottimista l'intervento di Gabriele Frasca, per la fiducia che esprime nella parola, ma anche per vari versi più confuso.
"Credo - dice - in quello che si deve dire e credo che si possano e debbano dire delle cose e quindi per me va potenziato il margine di leggibilità che è presente anche nella illegibilità: c'è un margine per parole diverse che va frequentato da chi usa la parola". Il vero problema per Frasca è far giungere i propri lavori in quanto manca una editoria adeguata ed una cordata di solidarietà. Anche per Frasca è necessario il confronto sui testi sebbene poi confessi un'antipatia viscerale per la teoria e presenti difficoltà a parlarne. Il motivo? "Sarà che sono poeta al 50%," in quanto scrivo anche in prosa" azzarda per poi ravvedersi e retticare "che comunque una delle cose più stimolanti degli ultimi anni è proprio il superamento di un effettivo confine tra i generi. Frasca si sofferma infine sull'esperienza comune di gruppo ("un incontro confronto sino a tentare una specie di osmosi"), fatta 10 anni prima con Ottonieri, Frixione e Durante e in un momento in cui non avevano "alcun referente ed era difficile anche fare circolare idee che non fossero le dominanti".
Ma la teoria, se è vissuta con oscure difficoltà da Frasca, viene invece al primo piano per Marcello Frixione, che interviene subito dopo. "È importante - dice Frixione - non solo il ruolo della teoria ma soprattutto stabilire il tipo di teoria della quale si ha bisogno". Si sofferma a descrivere il ruolo un po' ambivalente della teoria del caso del testo letterario in quanto diventa strumento descrittivo e normativo. Il problema per lui è che la teoria svolga bene la sua funzione in entrambi i casi. "Sono convinto - continua - che il testo si porta dietro la sua teoria e come nei dati empirici in qualche modo la sottodetermina". E dato che non ogni teoria è d'accordo con ogni testo ma ci sono molte teorie che vanno d'accordo con una certa classe di testi, Frixione sostiene 1a necessità di elaborare una teoria adatta non a priori, ma lavorando sui testi, e avendo ben chiaro dove si vuole andare ma anche il già fatto". Quanto al documento di Baldus per Frixione è solo un nucleo su cui lavorare in quanto è vago perché non coglie le differenze, le peculiarità tra la realtà attuale e quella precedente. Conclude insistendo sulla necessità di "elaborare canoni teorici partendo dai testi e non a priori".
Voce, chiamato in causa, precisa che data la situazione di grande confusione, non si poteva produrre un documento più preciso, ma si sperava comunque che fosse evidente la volontà di riannodare dei fili interrotti.
Anche Cepollaro precisa che il documento è solo "un insieme di appunti per formulazioni di ipotesi, il massimo del preliminare, e che c'è bisogno soprattutto di conoscersi".
Si delinea un terreno accidentato, la possibilità di fraintendimenti e Leonetti riporta il confronto sui punti essenziali e tra l'altro accusa. di debolezza la critica, in Baldus, della nozione del postmoderno che per lui è l'avversario diretto ed esplicito. Nel suo intervento accenna vagamente ad Altri Termini e Cavallo, a questo punto, un po' burocraticamente tiene a dichiararsi estraneo al documento riservandosi di leggerlo, e commentarlo poi. Immediata la risposta di Voce: "Se Cavallo, non è stato messo al corrente è perché la tradizione della sua rivista è più di dibattito che di tendenza".
Altri brevi vivaci scambi di battute, si crea una certa tensione e Coviello ne approfitta per commentare ad alta voce che per lui "in sala si sta solo giocando all'avanguardia". Lunetta di contro sbotta di "avere la netta sensazione di mucillagine teorica in lui e non solo", ma tocca a Bettini dare un ultimo contributo chiarificatore e riassuntivo. "Sono d'accordo con Coviello - dice - che la poesia debba rendere conto di quella che è la realtà complessiva esterna, però ho la netta sensazione che negli ultimi quindici anni si sia verificata una divaricazione netta, spaventosamente schizofrenica, tra lo sviluppo della ricerca poetica, sul recupero di antichi valori come il valore dell'ispirazione, il recupero di elementi orfici della parola poetica, il ritorno all'idea di rivelazione, la nozione di mistico vagamente attinta da Heidegger c in pane l'idea di linguaggio come dimensione aurorale dell'essere, che va in direzione opposta a quella che. è stata la trasformazione profonda c persino devastante del mondo della società e dei meccanismi di produzione e riproduzione del dialogo a tu per tu. Ora due sono le vie - continua Bettini - rispetto a queste scissioni: o confermare, accettare la scissione nella convinzione della impossibilità di ristabilire una qualsiasi circolazione dialettica tra i due momenti e puntare così all'idea di recupero della poesia come mondo, sfera assoluta, totalizzante; oppure quella che sia la poesia soltanto una parte di mondo, un terreno di conflitto, di scontro dove tutto si rimette in discussione. E in quest'ultimo caso l'dea oggi del rilancio di una letteratura neoallegorica e neosperimentale sta esattamente a significare il tentativo di andare verso non la ricomposizione, ma verso quanto meno la rimessa in contatto della letteratura con ciò che la circonda, cancellando tutto quel privilegio di sacralità che dovrebbe fungere da immunità, da esenzione di responsabilità. Bettini si dichiara poi pienamente d'accordo con l'urgenza dell'elaborazione teorica "per quanto approssimativa e informale" rilevata nel vecchio gruppo KB.
Seguono alcune brevi precisazioni di Frasca sulla piena accettazione dell'allegoria, sulla necessità di spazi, sul discorso dei dialetti e delle citazioni non ritenuti livelli qualificanti di una strategia letteraria, di contro ad altre tensioni oggetto di rimozione (parla di Beckett). Chiude l'incontro Ottonieri, che, tra puntualizzazioni sul concetto di allegoria e indicazioni di strategie operative, rilancia la necessità di una posizione di ascolto".
Per tutto il tempo Balestrini non interviene, né interviene mai chi qui scrive (dovevo presentare in anteprima l'iniziativa di "Bollerario", già ben definita, rimando all'incontro del tardo pomeriggio, ma poi per un imprevisto non vi partecipo).



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ultimo aggiornamento: venerdì 12 novembre 2004 20.38.42
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