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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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ESTRATTO

"Dieter Frish e la Variante della Variante di Lüneburg"

Nadia Cavalera

Bollettario n°12/18


Se volete sapere di che morte sono morto, ebbene sono vivo. Ma credevate veramente che io Dieter Frisch finissi così? Con una pallottola in bocca? Quasi a simboleggiare una qualche specifica colpa? Come… insomma…un vostro mafioso, lì in Italia? Certo mi è costato caro crearmi le complicità necessarie, ma ce l'ho fatta e vivo imboscato e tranquillo da tempo. Senza però i miei bracchi. E se ora sono venuto allo scoperto buttando all'aria la copertura e costringendomi a ricominciare daccapo, è solo perché la mia cara Hilda (in realtà si chiama altrimenti) mi ha fatto avere il libro di Paolo…Paolo Maurensig (si chiama proprio così o ha anche lui un'altro nome nella vita?). Un'infamia, una mistificazione bell'e buona. Non potevo tollerarla. E così eccomi qua a dire la mia di versione. L'unica peraltro mancante in quel racconto. Vi parla infatti Tabori (chiamiamolo pure così, mi va bene per quel riferimento dei segni alla boria), Hans (che poi sarebbe una giovane brunetta, Gretel ricordo), anche l'autore/narratore. Ma io?
Ebbene è vero c'è sempre stata una grande rivalità tra me e Tabori, ma le cose non sono mai state così nette come Tabori le presenta. Lui vorrebbe farvi credere che io impersonavo il Male e lui soltanto il Bene. E che quando queste due forze si scontrano, poi prevale sempre il Bene. Oh, ma che idilliaca conclusione, patetica credetemi. Non è così: c'è sempre una alternanza nel mondo e in noi stessi dei due elementi e una mai precisa inequivocabile stabile prevalenza. Senza contare le apparenze costruite non fortuite che intervengono a forzare la nostra percezione.
A riprova guardate Tabori. Ve lo raccomando il vostro Bene, con i suoi contorcimenti di fatti, le sue distorsioni di sentimenti, le sue alchimie di persone …Tutte quelle morti lì al lager poi le poteva evitare, bastava che si rifiutasse, anche autosopprimesse. Altro che piangerci sopra dopo o andar a ricercare le foto, farci i ritrattini con cornici molteplici, e metterli lì in bella mostra sul suo strumento musicale. Invece di spremerci su le lagrimucce si fosse comportato lui con attenzione come raccomandava al figliolo adottivo e niente sarebbe successo. E poi io gli facevo credere che quei prigionieri morivano per lui ma in realtà venivano soppressi per altri motivi, per crimini già accertati. Certo secondo comportamenti ora discutibili, ne convengo, ma la guerra è quella che è…
Inoltre vi è piaciuto quanto ha fatto a quello che voi chiamate Hans? Si è servito spudoratamente di lui (così almeno ha voluto farci credere) pur di raggiungere il suo scopo. Non ha esitato a distruggerlo pur di vincere la sua partita con me. Prima l'ha seviziato con i balletti del dolore alla scacchiera del pensiero sino a quella risata zen…Tabori ha addirittura lasciato intendere, ha prefigurato come a determinarla, una fine pessima del povero Hans. Ma così per fortuna non è stato. L'ho rivista da poco…
E che mi dite di come tratta Strumfel Lump? Già l'invenzione del soprannome, "straccivendolo", dice tutto. Si chiamava invece Franz, un sarto di tutto rispetto, sempre lucido, gran lavoratore, l'ho conosciuto al campo, ottimo scacchista. Eh, ma proprio questa caratteristica, forse perché non subito colta, irritava probabilmente il buon Tabori che lo tratta con alterigia, per poi far dire all'autore che il suo difetto era quello di non farsi vincere. "Era quasi impossibile avere la soddisfazione di batterlo", dice proprio così Hans nel libro. Questo perché cambiava gioco all'ultimo momento. Certo, secondo lui, Strumfel Lump doveva starsene lì impalato per farsi bersagliare nel gioco a piacimento da lui e dagli altri. Che pazzo!
E l'atteggiamento altezzoso di Tabori nei suoi riguardi è tanto più disgustoso in quanto fu proprio Strumfel Lump a dargli l'idea del mascheramento e gli elementi essenziali per realizzarlo, insieme a quella scacchiera dell'amore, con tutti quei bottoni scolpiti, si sarebbe detto, al microscopio, criptici.
Avete visto inoltre come ne ha parlato con sufficienza? Per vie traverse la chiama "cencio", invece vi garantisco che era un vero oggetto artistico. E se proprio avessi scelto di morire, quella notte, sarei stato onoratissimo di farlo ripiegato su di essa. Fatta di pezza doppia, tra feltro e feltro, sì, ma rifinita in ogni più piccolo particolare.
Io ci sono stato ore, quella notte, a rifletterci su, e l'ho vista bene. Un pezzo unico, da gran collezione. Me l'aveva data Hans sul treno, perché scatenasse in me i sensi di colpa e da solo mi giustiziassi.
E così feci credere, con la complicità del mio maggiordomo che aveva lavorato a lungo negli studi cinematografici di Vienna, e con l'ausilio di un po' di succo del pesce palla. E, prima dell'autopsia, grazie alla distrazione concertata del commissariato (c'è ancora chi ci sostiene…), quella stessa notte il mio corpo fu "trafugato" da un fanatico. Si decise, "per questioni di ordine pubblico", di non divulgare la notizia. Così fui morto e bell'e sepolto per tutti. Non avevo scelta.
Il quadretto si componeva felicemente per buona pace generale e soprattutto di Tabori che tacitava in questo modo la sua sporca coscienza.E moriva in pace. Ingiustamente e falsamente. Perché, vedete, io sono ancora qui. E intendo starci a lungo. In clandestinità, ma sia. In fondo ci sono abituato ("non c'è", "non c'è", ripeteva mia madre in un lontano gioco infantile).
Comunque Tabori non ha poi tutta la colpa di questo testo insinuante. Lui avrà solo proposto la sua versione che nessuno avrebbe saputo se Maurensig non l'avesse raccolta e divulgata. Forse perché anche lui voleva sinceramente credere al messaggio di bontà trionfante? Ho i miei dubbi…
Non escludo invece che abbia accettato l'impegno per illudersi e illuderci di aver vinto qualche sua battaglia privata, forse ha voluto lui stesso con la nostra storia far credere di aver ucciso l'alter ego maligno insito in lui, il suo doppio, tramite un qualche Hans della sua vita, e che lui stesso ora è solo uno stinco di santo.
A questo punto, però, e dopo quanto ho già detto, non mi meraviglierei che l'Hans dell'autore fosse nella realtà una qualche variabile imprevista ed imprevedibile, forte, sconvolgente, e che tutta questa operazione mistificante sia un impuro tentativo di circoscriverla, di tenerla sotto controllo, facendola rientrare nella norma, come di vicenda preventivata, voluta. Ma che così non sia stato assolutamente. Un sulfureo tentativo che si sarebbe materializzato alla fine in un'egregia inoppugnabile prova d'essere rimasto, l'autore, proprio nel mentre si spaccia per Tabori, più che mai Frisch. Secondo sempre il suo schema.
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ultimo aggiornamento: giovedì 22 febbraio 2001 18.04.18
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