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ESTRATTO


La figlia dell'aria

Philippe Castellin

Bollettario n°40
traduzione a cura di Barbara Ordonselli
/La poesia è la somma dell’insieme infinito delle forme in seno alle quali sta comunque sempre stretta/
Akenaton


In Francia, c’è ancora un pugno di Grandi Editori che trattengono collezioni di poesie come, nel XIX° secolo, alcuni «essi» dai (gran) sigari s’intrattenevano con una ballerina: oggi, una squadra di cavalli, di macchine rosse da corsa… Si calcolerà, in un simile mecenatismo, un investimento a lungo termine, o, nell’immediato, un’attività (in fondo non eccessivamente dispendiosa, affrettiamoci a riconoscerlo) da mettere in conto, noble$$e oblige, allo sponsor. Questo, con mille precauzioni : pubblicare solo gente riconosciuta [= quelli già pubblicati] il più «di casa» possibile, millimetricamente conformi ai criteri del genere e, d’età, per di più, molto avanzata. Valori sicuri. Non sarà forse, caro mio, l’anniversario del secondo millennio dalla morte di V. Hugo ??? – c’è solo da guadagnarci coi morti*. La pietra delle loro tombe è il più sicuro degli investimenti e Baudelaire si sarebbe augurato – lo dice – di scrivere solo per loro. I Grandi Editori (in Francia), ne trarrebbero « volontieri » lauti profitti. Editori un corno – imprenditori in pompe funebri, sì certo ! – Con questo sistema non si va avanti affatto. Intoniamo piuttosto un triplo urrà per coloro che, vivi, operano coi vivi, per i vivi. E senza portare parrucche, senza considerarsi un giudice british in pedana, in tribunale. Sorry my Lord, la provvidenza non esiste, non ci sono valori rifugio, l’oro si sciupa, il marketing la fa da padrone, e di bronzo; la vita, è vero, si muove, e i vivi idem, ed è pericoloso. È un bel rischio.

*- Solo i morti inediti possono importarci (non li si pubblica di più …)
- e ancora : le edizioni postume hanno sempre il canino fine e sanguinante, un lato un po’ Dracula

Stoppiamo questo capitolo : il florilegio riunito, nelle pagine che seguono, per Nadia Cavalera e Il Bolletario, non comprende nessuno di questi nomi.

D’altraparte, (in Francia), e da molto tempo - ttt le avanguardie storiche all’inizio del XX° - la vera poesia, quella che cerca il linguaggio per dire e dis-dire il mondo in cui vivono gli uomini della (post)modernità, ha luogo Altrove; in una sorta di esistenza semiclandestina, universo in cui circolano losche creature notturne cadute da un’infinità di pianeti poco raccomandabili e poliglotti. Vi proliferano quelli che sono poeti editori, quelli che sono editori poeti, collezioni che vivono 3 o 4 mesi, tirature disperatamente confidenziali, riviste con 2 numeri, poeti-comete che non pubblicano nessuno scritto ma che leggono cose fantastiche nelle serate comatose in cui 2 persone aspettano (dormendo o tremando, secondo i casi) il loro turno per elevarsi sul treppiede dell’autore-lettore. Energumeni che, su una piazza, in una via, si mettono a gesticolare o vociferare (« bisogna farci l’abitudine… ») o, come dicono, ad « agire ». È poesia questa??? - Ecc. Se non che, e evidentemente, è qui, in questa ombra placentare precisamente situata a tergo del sole dei media accademici e dominanti, a mille leghe da ogni commercio se non di ogni gloria (le cose sono un po’ più complicate, ci sono glorie « locali » e la poesia, che non rende un $oldo e non passa mai alla tele, si rivela ossessionata da numerosi alligatori) accadono, come sempre, cose importanti, nuove, quelle che hanno un senso, anche qui con coorti di creature ibride, mostri che pullulano ogni mattina e di cui alcuni, ma sì ce ne sono! – sono dei veri e propri miracoli. Rileggete Darwin. È in questo modo che avanza una specie, a biforcazioni & sviamenti & ramificazione & esplorazione di vicoli ciechi e come accavallamenti, sembrerebbe, di lingua. La ripetizione di modelli radicati inizia alla sclerosi, segna l’avvicinarsi di una fine tanto più prossima quanto più s’accelerano i ritmi del cambiamento di classe. Che è il nostro caso, inutile soffermarcisi; / I mutanti miracolosi si reclutano presso i devianti paralleli / La poesia, quando giustifica il suo essere, il suo divenire o il suo nulla, non può esimersi dal mostrarsi gozzuta, geneticamente marcia, dalla testa difforme, dai piedi che puzzano; « It stinks », diceva B. Gysin, la poesia (quella vera) (in Francia) è questa corte dei miracoli.

La rivista DOC(K)S che Akenaton (Jean Torregrosa ed io stesso) realizziamo dalla A alla Z dal 1990, quando Julien Blaine, suo fondatore (1976) decise di gettare la spugna e passare la mano, è stata creata per accogliere i cosiddetti nomadi, SDF inclassificabili. Con coloro che tentano di « risvegliare » dentro e sotto il testo poetico, disegni, immagini, o accordi cromatici che, da sempre (da quando esiste la scrittura) vi giacciono in un sonno più o meno orchestrato, ttt concreti, visivi, spazialisti dagli anni 60 agli 80, ttt tutti quelli di cui il lascito, sebbene trasmesso da canali ultra segreti e lontano dai circuiti istituiti, continua ad essere terribilmente vivace ed attivo, come dimostrano i numerosi partecipanti della selezione. + Quelli che, cercando di (ri)mettere della-voce-del-respiro-del-corpo nella mummia del testo imbacuccato in tutte le sue bende lineari, inventano la poesia sonora. Giurano che non faranno mai più libri. Pubblicheranno solo oralmente, o su disco o cassetta, e poi CD. Anche loro sono da imbarcare nell’arca delle poetiche e poesie sperimentali. + Quelli che pensano che in principio era il gesto, non il verbo. Tant’è vero che parlare o scrivere sono varianti dell’azione. Creazione. Chiamiamoli « performers ». Inscriviamoli nell’istante trasgressivo, l’acting exit out (di sé, delle parole, del linguaggio, dei codici esistenti.. ) che costituisce forse, perché no, il sunto della poesia. + quelli dell’avventura tecnologica, generazioni Video, programmi, CD, DVD. La lingua non gli basta, non più. « Volentieri » non scriverebbero più, meta-scriverebbero con formule esoteriche, il latino che diventa C++, lingo, java : poesie animate col computer. Siti sperimentalmente poetici, poeticamente sperimentali… Montatori di dispositivi ipercomplessi. Generatori d’instabilità, di miscele esplosive, manipolatori di provette che cuociono a fuoco lento liquidi torbidi e cloni frankensteiniani…E + in omaggio, come si può intuire, la pletore delle sotto sotto sotto categorie. Poiché tutto ciò big-banga in permanenza. Non è così semplice. Vive quindi si muove. Vive quindi s’incrocia, s’imbastardisce, muta e tenta impossibili chimere. Lampi al plasma. Mini Vulcano galattico. Il brodo primordiale, la cigliazione delle sinapsi. Imbarchiamo ! Imbarchiamo. Presto sarà piena, la nostra arca…

La presente selezione rispetta la scelta iniziale; non cerca di nascondere quali a priori la governano. Non mostra semplici affinità personali, « gusti », ma esprime nel suo principio una visione particolare della creazione poetica (in Francia). Alcuni lavori qui convocati, a titolo personale, non mi attirerebbero oltre misura: tuttavia ne vedo la portata, l’ambizione, so quali rischi corrono, quali sentieri battuti su tutti i fronti lasciano, quale sfida cercano di raccogliere in un mondo dominato dalle nuove tecnologie e dall’audiovisivo: a volte succede che le ali siano di cera e che fondano: va bene e sia, questo è, questo è sempre stato il prezzo da pagare per la poesia. Tutti questi nomi e lavori rivelano l’area in cui, una volta per tutte e senza possibilità di ritorno, ci si è impegnati per rompere gli ormeggi con le ricette e i fili del modello letterario, le visioni ristrette, essenzialiste, logocentrate e, infine, tanto elitarie quanto moribonde, della lingua, della poesia, dell’arte. Con alla base la volontà comune di concepire la poesia come un oggetto, di scrutarne il materiale, di farlo variare sperimentalmente, di non vietarsi nulla: a volte ciò può esser fatto con rigore freddo, a volte nella violenza e trasgressione ma il gesto resta lo stesso. Qui si decostruisce il codice, consapevole di tutto quello che il suo uso naïf dissimula o implica. Di conseguenza, qui si rischia di trovare nomi che spariranno, o in via di sparizione (quale nome in fondo non lo è….) addirittura che sono già scomparsi (a tal punto, per alcuni, che non figurano affatto) (- grazioso prisma logico eh sì) – In compenso, e che fortuna, non s’incontrerà nessuna statua di cartapesta, nessuno di questi mandarini sempre pronti a vestire i panni del Poeta Ufficiale (ce ne vuole uno ce ne vuole sempre almeno uno…) né nessun pro-pro pronipote di Dracula. I Vivi, nient’altro che i vivi, inventurieri, stravaganti, bislacchi, sconosciuti, atopici e moicani underground delle caverne web…

Da considerare dunque, la cosiddetta « selezione », strutturata nel suo orizzonte da questa ricerca di un eldorado linguistico –in senso (ampio) lato*- che è la poesia che può far sorridere-polaroïd perché, certo, è ben più sano, e importante, inventare un missile a frammentazioni laser per radere al suolo chirurgicamente una città piuttosto che pasticciare i disturbi del linguaggio. [Ma, ci si dice a volte che succedono, in quest’attività fanciullesca, cose talmente preziose che il pudore ordina di metterle a tacere per non tradirle?] – Cose da glissare solo metaforicamente, clandestinamente. E per esempio : che il linguaggio e il potere fanno lega, per mezzo del codice. Che chi controlla il linguaggio controlla il potere, e il pensiero del mondo che definisce ogni mondo. Poiché ogni mondo contiene la sua rappresentazione. Che sabotare tutto ciò (sic direbbe Burroughs – attenzione ! il cut up è solo un mezzo fra miliardi altri, niente feticismo!) è una rivoluzione necessaria e permanente che i poeti assumono, se sono dei poeti, e con questo voglio dire che spesso ci sono più poeti attorno a un bancone di qualsiasi bistrot (in Francia) che in molti luoghi culturali, il che è rassicurante: è parlando-poeti, è parlando parlando che la gente allenta la morsa apre un po’ di spazio tra le sbarre della gabbia e, l’aria futura entra, certamente bisogna sempre ricominciare daccapo. L’avvenire è sempre da ricominciare. Alcuni poeti sono terroristi, oh my god.

Ed è vero: vero che fra i punti comuni che mi sembrano caratterizzare l’insieme dei passaggeri dell’Arca quest’ultimo è da sottolineare ; sebbene impegnati in una ricerca formale spesso molto raffinata, non sono “formalisti” nel senso di Jacques Roubaud o attuali Oulipiani; non abitano nessuna torre d’avorio. Sono qui. Guardano la tele. La pubblicità o il telegiornale. Sono al corrente della percentuale di disoccupazione e di quanto ha incassato il titolare di Vivendi Universal per aver truffato milioni di persone. Si indignano. Sognano una poesia attiva. La ricerca formale è perciò improvvisamente subordinata a una constatazione anteriore, che concerne l’arte, la poesia e il mondo contemporaneo. Constatazione critica. E tanto più violenta quanto (gran parte della differenza rispetto agli anni 60/80 consiste in questo) disillusa riguardo alle utopie, alle soluzioni, alle alternative. Una poesia violenta e disperata quindi. Nerissima. Dura. Ironica. Non sempre, certo, ma spesso. Una poesia in cui raramente si è vittima; una poesia in cui ci si domanda continuamente qual è la forza della poesia, qual è il suo impatto. Una poesia di cecchini. Una poesia di cani lucidi e rabbiosi.

*In senso(lato) ampio. Poiché, in questa selezione, bisognerebbe comunque mettere un po’ d’ordine. Alcuni, rappresentanti della Tribù dei Neo-Verbali, continuano - ricominciano, realtà o apparenza, fa rima, ad attribuire al codice strettamente (???) linguistico un’influenza, notare la rima, determinante. Globalmente, e spesso in un’area marcata dall’ex gruppo e rivista TXT e da Christian Prigent, sono apparsi (in Francia) a partire dagli anni 90-95; i primi esempi di rilievo di questo tipo sono stati C. Tarkos (qui assente per motivi di salute) o K. Molnar. Portatori di una forma di scrittura in fondo non esclusiva delle sperimentazioni condotte dai concreti o dai visivi degli stessi anni che tenta persino di integrarli, pubblicano daccapo « testi », fanno libri. Si raccolgono (più o meno) attorno a riviste come Java, o Nioques, attorno a editori come Al Dante o P.O.L, niente gelosi, niente gelosi ttt Jacques-Henri Michot, ttt Jean-Michel Espitallier, ttt Nathalie Quintane, ttt Sylvain Courtoux ttt Charles Pennequin o ttt sylvai e Jacques Demarcq o Katlin Molnar tanto per citare alcuni nomi che mi vengono in mente, fra tanti altri possibili, pietà, niente gelosi, soprattutto niente gelose, e beninteso questi nomi hanno ben poco a che vedere gli uni con gli altri : è inevitabile poiché un poeta non ha, in tutti modi, in definitiva nulla a che vedere con nessuno - e SOPRATTUTTO NON con sé stesso. È chiaro che la scrittura come sventrata da Sylvain Courtoux, la quale, nel suo cocktail molto Molotov, riunisce Lacan Burroughs Guyotat e poi chi altri ancora?, si situa a parecchi chilometri da quella, poniamo, di Jean-Michel Espitallier, minimalista, elegante, velata di humour e vicina, senza pesantezza dimostrativa, a uno spirito « concreto » o oggettivistico molto nord americano. Lasciamo da parte i Verbali. Agli antipodi, classificheremo tutti coloro che, di primo acchito, rientrano nel campo dei « visivi », dei « concreti » o dei loro eredi, ttt Julien Blaine in testa, Grande Vecchio che immagino certamente ben scontento di essere assimilato a una di queste etichette di cui (vi ho accennato) si potrebbe frettolosamente dire che danno risalto a questa o quell’« epoca » (sottinteso : superata…Ah ! il progresso nell’arte…). Non dispiaccia agli uni o agli altri, l’insistenza sulla materialità visiva o sonora dello stampato (categoria qui ben più pertinente di quella di « testo ») così come il riferimento all’universo dell’informazione e dei media poc’anzi affermato dai Visivi italiani, rimangono di un’attualità scottante. Fa parte degli assiomi da cui traggono ispirazione numerosi poeti spesso vicini a DOC(K)S – ma non solo, ttt Gilles Cabut e Julien D’Abrigeon e Georges Hassoméris o la maggior parte di quelli riuniti attorno a riviste come BOXON o (in modo meno marcato) OUSTE– Negli stessi paraggi, ma più lontano ancora dal settore del libro ttt Akenaton, che chiama poesia, ormai le abbiamo viste tutte!, un film-senza-parole di 90 ore, per di più presentato come « una performance destinata a servire da spartito per un’installazione plastica futura… » formula che, si capisce, traduce a meraviglia il modo di procedere risolutamente « inter-hyper-transmedia (sic) di un gruppo noto sia nell’ambito dell’arte/azione sia nel web o nelle arti plastiche. ». [la poesia, diciamolo con le parole di Gertude Stein « è ciò che i poeti fanno » o meglio, ciò che chiamano (performativamente) poesia*].

[*che io scrivo poesia, con una barra, al fine di evitare malintesi]

- Con, fra questi 2 casi-capo, verbali da un lato, visivi e post- dall’altro una serie di sfumature, tutta una monocromia che declina la gamma continua degli scarti. Poiché c’è testo e testo, come c’è immagine e imagine. Ah, la vita è complicata. Un testo che si presenta come un testo può benissimo (ttt Serge Pey, performer, poeta sonoro nella grande stirpe sciamanica, ttt Cyrille Bret, uno dei giovani azionisti più rigorosi della scena contemporanea, in Francia ttt Frédérique Guétat-Liviani, al tempo stesso performer, poetessa visiva o ancora ttt Hervé Brunaux), essere infatti solo (ANCHE) uno spartito per un’azione, sonora o visiva, e una « cosa fatta di parole » può anche (ttt D’Abrigeon) in realtà essere solo un ready made, un found poem, una ruota di bicicletta, un compito d’alunno raccattato per strada, un’etichetta, un pezzo di giornale, o i frammenti di un dialogo campionato in tele e remixato, così come Nathalie Quintane ne dà qui un esempio: più vicino o più lontano – in fondo – dalla « poesia » di, poniamo, una performance di Bret o del film degli Akenaton ??? – Impossibile fare distinzioni, no. Bisognerebbe ricorrere a una definizione essenzialista, platonica della poesia per rispondere in tal modo. La prospettiva qui sostenuta [poésie] è pragmatica, contestuale. Un testo che è solamente un testo può anche, tuttavia, e perfettamente, con l’ausilio di strutture (la lista è un esempio privilegiato, lista di tutti i generi, classificazioni secondo i criteri più diversi, alfabetico ecc.) o con l’uso delle possibilità mallarmeiane offerte dalla PAO (gestione degli stili e dell’insieme dei parametri tipografici) pratica di cui credo d’aver dato personalmente, a partire dalla fine degli anni 80, alcuni esempi isolati e precoci, ma che oggi si è largamente diffusa (ttt Sylvain Courtoux, Jérome Game…) mimare (riferire, connotare….) un altro testo, un altro « universo », un altro oggetto, dizionario, abbecedario, elenco, libro per bambini, fumetti o catalogo della Redoute : ttt Georges Hassoméris, Gilles Cabut. Un’immagine, un oggetto di natura plastica può al contrario celare – bisognerebbe dire seppellire - un testo o, in ogni caso, una « cosa fatta di parole». ttt Bernard Heidsieck, le sue assi fatte di « nastri magnetici » che si offrono evidentemente, all’occhio, in una tri/valenza « plastica » « verbale » e « sonora » la quale, se mi avete seguito, è in verità quasi sempre assunta dai poeti di questa selezione, da collocare tanto nella movenza dei Verbali che in quella dei Visivi, dei performer, dei Techno, dei sonori o di tutte le categorie intermediarie supplementari o complementari che si possono immaginare. In realtà, sono molto più vicini di quanto non sembri, e così pronti a scambiare i loro attributi che mi sembra che questa caratteristica proteiforme e combinatoria potrebbe ugualmente costituire uno dei tratti maggiori della poesia attuale, in Francia.

Senza dimenticare, dettaglio importante, che Il Bolletario pubblica doppiamente questa selezione, on line e su carta, come pagina web e come libro. Sul web tutto diventa immagine – in virtù del contesto pragmatico – mentre, nel libro, tutto tende al testo. Non crediamo più alle essenze. Platone si scioglie.

E neanche alle apparenze. Impossibile, meglio: stupido, ugualmente, e per concludere, sarebbe rinchiudere uno qualunque di questi nomi nella traccia cha abbiamo oggettivato. Le poesie sono tanti abitacoli che ci si lascia dietro, tante vecchie pelli di cui ci si dis-fa. C’è da scommettere che un giorno Julien s’interesserà più al « residuo » (il testo) che alla performance o all’azione. Che dal video o dalla poesia visiva Tardy passerà alla poesia « standard ». Che una sera o una mattina Jacques-Henri si dedicherà al sonoro, mentre Charles si risveglierà informatico. O carabiniere, chi sa ??? – Non siamo più quello che siamo.

I poeti sono professionisti dell’evasione. Evadere, in francese, c’è una bella espressione, che spero sia assolutamente intraducibile, cioè « jouer la fille de l’air »

Alcuni non figurano in questa antologia ttt

Saranno fuggiti lontano, troppo lontano perché si possa catturarli, è tutto.


Ph. Castellin 2003



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ultimo aggiornamento: sabato 8 novembre 2003 15.39.15
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