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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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ESTRATTO

Mariella Bettarini

"Ambra (17)"

Bollettario n°24/27


  Quello dei furti (della cleptomania, pensa più appropriatamente Lorenzo) era stato per lui uno dei periodi più tristi e intricanti della sua vita; un periodo lungo e doloroso al quale (forse) sapeva che valore attribuire, o era meglio dire che forse non lo sapeva affatto, essendogli restato oscuro il senso più vero, profondo e totale del suo esser divenuto, di fatto, ladro di libri (ma anche di qualche atro piccolo oggetto da bancone di negozio o di magazzino: saponette, vaghe suppellettili, dolciumi, in una razzia malata, in un rischio costante che lo accendeva avvilendolo, lo avviliva miseramente, e l’una cosa attizzava a dismisura l’altra, così che il difficile era proprio riuscire a sottrarsi a quell’altalenare coatto, a quell’ondulare interminabile tra avvilimento e accensione, che manteneva dolorosamente - ma anche anesteticamente - nella condizione immobile di atipico ladro: cleptomane, pensò). Cleptomane: senza nessuna emozione nel dirlo, nel confessarsi tale, né nel compiere l’atto "perverso": ma neutro, banale, obbligato (ormai indotto), arrischiato (questi sì: poco o molto arrischiato), spento (che lo spengeva), fatale e fatalisticamente condotto del sottrarre oggetti (libri e libri) da vari negozi. Da maestro, si, da grande maestro d’astuzia, attento a schivare sguardi, a evitare accuratamente commessi, clienti, direttori, padroni d’occhi indiscreti. Attento e assorto all’azione "divina" e fulminea: quella del prelevare con grazia e studiata lentezza un libro dal proprio scaffale, rigirarlo a lungo tra le mani, sfogliarlo, odorarlo, aprirne le pagine, forzarne un poco la costola, da di piega alla sua intonsa metà e poi, con azione impreveduta (ma preparatissima, acuminata al milionesimo di secondo), far passare l’agognato oggetto nelle pieghe di un trench o nell’incavo tra corpo e cintura o - più rischioso - dentro una borsa già folta di propri libri, cartelle e scartoffie preparati per la bisogna.   L’atto era stato ripetuto decine e decine di volte, eppure Lorenzo non avrebbe saputo neppure come motivarlo, come spiegarlo o descriverlo. Era - l’atto - connesso a una lieve caligine bruna; si stagliava al suo centro, al centro indistinto d’anima e corpo, là dove (forse) si respira, ma non aveva niente di fisico eppure, al tempo stesso, non si poteva certo dire fosse atto spirituale o psicogeno. Si trattava - meglio - d’una coabitazione nel tempo fra l’altro e sé; una combinazione improvvisa (e però prolungata nel tempo) di atomi fossili, mobili e immobili, che chi sa come era venuta, così chi sa come sarebbe scomparsa dalla propria esperienza di vita.

  Lorenzo sapeva solo che quella sera sarebbe entrato in quella libreria, deciso a farlo o a rifarlo; che avrebbe puntato a quello scaffale, avrebbe preso in mano a lungo quel libro (avendolo accuratamente prescelto) e che avrebbe poi compiuto, al punto giusto, al momento giusto (ma gli suggeriva qual era? quel passo, quel gesto. Del resto, che fare? A niente valeva, in quel tempo, sottrarsi. Tanto valeva, allora, infilarsi (cozzando la testa) nel grande budello fino ad allora ignorato, nel pigia-pigia, nel folto del furto, nella stretta insanabile d’una furfanteria non sua ma accettata ed ammessa sino a quando durasse, sino a che se ne avesse l’oscuro bisogno. Come d’un male necessario ignoto. Necessario quanto ignoto. L’una cosa almeno quanto l’altra. Ora era febbraio e cadeva una piccola neve.  
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ultimo aggiornamento: sabato 10 febbraio 2001 18.41.13
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