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versione telematica di ''Bollettario'' quadrimestrale di scrittura e critica. Edoardo Sanguineti - Nadia Cavalera
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LA CRITICA DEI GIOVANI



Il paradosso dei classici

di Gianluca Cinelli

su Giuseppe Pontiggia


Chiunque sa dire cosa sia un classico, basta a ciò la scuola dell'obbligo coi suoi porgrammi, eppure niente è più ambiguo del senso comune: perché se è facile dire che cosa sia un classico, molto meno chiaro è perché lo sia, quando lo sia diventato, come soprattutto. Pontiggia in questo I contemporanei del futuro parte di lontano, per riconnettere le tessere di un mosaico etimologico per niente scontato, dal concetto latino di classis, ambiguamente adoperato da censori e militari come categoria di valutazione e intruppamento dei cittadini. Pontiggia gioca col fuoco, stuzzicando con tono lieve da libro di lettura la categoria sacra della letteratura, il classico, ponendola in un'ideale continuità con le sue origini tanto diverse quanto ugualmente classificatorie.
Nel nostro senso comune il classico resta vivo come categoria, vi si nasconde un giudizio di valore assoluto. Pontiggia si interroga sul classico come valore relativo, che "realizza un destino", gigante sotto le spalle dei moderni che permette di guardare più avanti della propria statura. Tutti i veri sovvertitori, scrive l'autore, si schierano a favore del passato, ed è una considerazione che colpisce, nel contesto dei classici e del nostro rapporto con essi, in questa epoca inneggiante alla modernità e al mito dell'originalità. Pontiggia si riserva una visita per ciascuna delle nostre ossessioni letterarie contemporanee: la modernità, la "paranoia ereditata da Hegel", l'originalità, "mito dell'impossibile", il canone, "paranoia gerarchica". A leggere questo lieve e inquietante libro, l'amante dei classici e della letteratura si accorge di colpo di essere prigioniero (anche se rimane una cella dorata) del sistema letterario, dell'ansia ordinatrice, delle tassonomie e delle classifiche. È l'eredità del passaggio schizofrenico dalla sclerotizzazione della cultura alla sua mercificazione, entrambe obbligate a penosi quanto periodici censimenti e inventari. Ovviamente dal gorgo non si salva neppure la critica, che Pontiggia recupera proprio nella sua minima identità della recensione, il "pezzo" di una perduta tensione militante nei confronti della lettura, appuntamento periodico con i testi e i lettori, momento di aurea mediocritas anacronisitcamente civile..
Qual è l'utopia di questo libro? Probabilmente quella del tempo ciclico dei classici, oggi inabitabile, al quale la contemporaneità ha dovuto sopperire con l'aggressivo scatto in avanti delle avanguardie, non a caso contro i classici e contro passato che non riusciva più a recuperare. Oggi, nell'era del mercato, anche l'avanguardia è impraticabile, perché il suo nemico non mostra più un volto da schiaffeggiare. Non c'è un campo di lotta per l'avanguardia, perché tutta la letteratura è merce e perfino gli incendiari delle avanguardie campeggiano ormai sugli scaffali tra i classici. Se Marinetti l'avesse saputo da un oracolo, forse avrebbe smesso la sua maschera terribile per assumere pose più consone all'immortalità. Allora all'utopia subentra il panico dell'indifferenza, peggio perfino della tabula rasa "sogno periodico della cultura, oltre che dei barbari", fondamento estetico rattrappito e deforme dell'età del mercato, dell'usa e getta, del tascabile da regalo, del turismo culturale. Il classico è stato privato della propria qualità fondamentale, l'essenzialità, sostituita con aggettivi del marketing più o meno insulsi, quali "indispensabile", "immortale", "di tutti i tempi". Il classico, di nuovo incompreso oggi come spesso al suo tempo, è come lo stagno di Narciso, maledizione per un'umanità che non sa guardare se stessa ma anche sogno d'amore e di divinità. "Un classico è un'esperienza radicale, un incontro che ci modifica, non un ritrovamento di aspetti reperibili in altri", recita l'accorato dolore di chi sa che dovrebbe essere così ma che in realtà non accade. Il classico è refrattario, inversamente all'origine del nome, ai censimenti, alla classifiche d'eccellenza, ai giudizi di valore, alle parate e alle adunate: "occorre superare quella nozione di classico che lo associa esclusivamente alla eccellenza, alla esemplarità, al valore fondante. E spostare l'accento sulla vitalità durevole del testo, su una eccentricità inventiva", ecco perché nella seconda parte del libro, duecento pagine di recensioni, si incontrano autori famosi accanto a nomi affatto ignoti, nei confronti dei quali Pontiggia non mostra né timore reverenziale né la perversione dello stilatore di classifiche, bensì stupore per tutti, nel bene o nel male, chi meglio e chi peggio, per essere ancora lì, tenaci, fiduciosi, "d'inattualità illuminante". Il classico è un mistero, è un viaggio nel mondo dei morti ma nel contempo è il riflesso di una vita sparita dentro l'era dei non nati, è paradosso ed enigma del nuovo che "nasce confrontandosi con l'antico, non trascurandolo", è la "vitalità che trasforma la tradizione e la iscrive in una trasgressione ininterrotta"..
I pochi che tentano la via per un mondo migliore scoprono di essere molti in mezzo a questa folla "inattuale" di vecchi classici, e forse i più lungimiranti si sentiranno già tra i piedi dei nascituri. E se l'incomprensione dei classici oggi è buon segno come quella dei loro autori, possiamo ancora sperare di salvarci..


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ultimo aggiornamento: domenica 14 settembre 2003 12.49.38
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