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Come uscire dal vicolo cieco

di Angela Giuffrida



La prima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto il saggio di Anna Bravo è che ad interrogarsi sulle proprie responsabilità circa la violenza che insanguina il mondo è quella parte della specie che vi partecipa in modo del tutto marginale. Già il dibattito sorto attorno alle donne-soldato aveva evidenziato la capacità tutta femminile di mettersi in discussione, di cercare in sé, nel proprio genere eventuali mancanze, prima di addossarle all'altra parte dell'umanità. Confrontato a tale civilissima pratica, ancora più assordante appare il silenzio degli uomini che, pur pretendendo da millenni di governare il mondo come una loro esclusiva proprietà, non si ritengono responsabili in prima persona dei danni arrecati alla specie e al pianeta, tant'è che non sentono il bisogno di farsi qualche domanda circa la loro "superiore razionalità". Ma torniamo alle donne. L'inclinazione a riflettere su di sé denota grande maturità, diventa però sterile e autodistruttiva se indebitamente potenziata, soprattutto se non si accompagna alla piena consapevolezza dei meriti guadagnati e del ruolo svolto dalle donne nella storia della specie. Accollandosi anche responsabilità non proprie, esse finiscono per coltivare oltre alla disistima di sé la già alta irresponsabilità maschile; infatti, mentre non perdonano nulla a se stesse e analizzano minuziosamente ogni loro debolezza, ogni errore, anche quelli chiaramente indotti, non pretendono che gli uomini facciano altrettanto o perlomeno che si fermino a riflettere sul proprio operato. Il problema è che le donne continuano a guardare se stesse, l'altro genere e il mondo intero con occhi maschili. Nonostante il pensiero della differenza abbia iniziato il proprio cammino con Adriana Cavarero che diffidava "dell'intiero castello concettuale della logica dell'uno" e, considerando "mostruoso" il neutro maschile, metteva l'accento sulla sessuazione al femminile, il sistema di pensiero maschile rimane intoccato ed intoccabile e i suoi meccanismi restano pressoché invisibili perché ritenuti comuni alla specie e continuano ad operare a tutti i livelli, anche all'interno del discorso delle donne, bloccandolo in un vicolo cieco.
Perciò il valore cognitivo delle esperienze del corpo continua generalmente ad essere negato, cosicché Anna Bravo nel suo saggio, a proposito della "nuova mistica della maternità, spettacolarizzata e sacralizzata più di ogni altra esperienza (eccetto, forse, la guerra)", può dichiarare di avere nostalgia "di un vecchio numero di 'Via Dogana', dove all'affermazione che diventare madri ha a che fare con la vita e con la morte, si rispondeva che sì, ma che lo stesso vale per l'attraversamento di una strada". A parte l' ovvia constatazione che la mistica della maternità nelle comunità dei padri altro non è che una mistificazione, dato che "il corpo femminile è sempre più oggettificato e parcellizzato, sempre più luogo pubblico", a parte l' intento chiaramente provocatorio della superiore affermazione, a me pare che la maternità non possa essere ridotta a nessun'altra esperienza. La presa di coscienza da parte delle donne di possedere una diversa struttura categoriale, non può che derivare dalla consapevolezza che l'esperienza materna è stata decisiva nella costruzione di quella forma mentis (comune a tutto il genere, non solo a chi partorisce) che ha consentito loro di guidare il processo di civilizzazione della specie e che può permettere oggi, se ricostituita coscientemente, di fermare la folle corsa della specie verso l'autodistruzione. Hanna Arendt ci ha invitato a centrare lo sguardo sulla nascita, quindi, in definiva, sulla maternità e sulla corporeità. Il corpo della donna, la sua biologia sono le inesauribili fonti dello sviluppo della sua mente, sono la sua carta vincente. Siccome i mondi del simbolico e dell'astrazione sono radicati nel corpo e nella sua esperienza, la potenza del pensiero della donna è da ricercarsi nella potenza del suo corpo, l' enorme potenzialità creativa nella creatività del suo corpo, l'evoluzione razionale e civile della sua mente nella ricchezza della sua esperienza. La coscienza o spirito o mente che dir si voglia non è "uno spettro nascosto nella macchina" e non esiste senza l'organismo biologico con il suo corredo di istinti ed emozioni. Seguire gli uomini nel loro disegno esistenziale che rinnega il corpo significa guidare la specie verso l'autoannientamento.


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ultimo aggiornamento: giovedì 24 marzo 2005 19.36.05
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