Bollettario Bollettario Network 
Bollettario.it - versione telematica del quadrimestrale di scrittura e critica diretto da Edoardo Sanguineti e Nadia Cavalera
  Ricerca Avanzata
  Aggiornamenti
  Primo piano
home / bazar / paola colombini

BAZAR


C'è un testo che vi piace particolarmente? Un nuovo testo che volete proporci? Segnalatecelo, verrà inserito in questo spazio: è a disposizione dei nostri Navilettori.
>>>segnala qui<<<



La crisi della coppia

di Paola Colombini



Riflettendo sul tema proposto al campo per famiglie dell'azione cattolica di questo anno, mi sono chiesta se non potesse essere utile chiamare in causa anche la filosofia.come valida alleata per operare una riflessione, (senza nessuna pretesa di fornire risposte o soluzioni, cosa, tra l'altro, quanto mai sgradita ad ogni serio procedere filosofico), ma solo "fessurazioni" e "provocazioni" (spero feconde), ad un pensiero che voglia andare oltre una "doxa, un'opinione, che caratterizza un certo moralismo intellettuale che si basa sul dover essere, su ciò che vorremmo che fosse, piuttosto che guardare alla realtà per ciò che è" (usando le parole di Michel Maffesoli nell'intervento fatto al Festival della Filosofia che si è tenuto a Modena quest'anno, dal titolo: "La parte dell'ombra. Vitalismo sociale e ritorno del tragico").
Prima di tutto, ritengo però utile spezzare una lancia in favore della filosofia, soprattutto per i "non addetti ai lavori" (senza la presunzione di ritenermi necessariamente addetta), perché comprendo che il linguaggio potrebbe non essere facilmente agevole e soprattutto, più difficile ancora, l'accettare che "in un mondo che è divenuto completamente incerto, noi filosofando cerchiamo di mantenere la direzione, senza conoscere la meta" (1).
-" Ma come?-" Potrebbe da subito obiettare qualcuno, -"è un paradosso pretendere di mantenere la rotta senza conoscere la meta!"- Rispondo con le parole di Deleuze e Guattari che nel libro "Che cos'è la filosofia?" sostengono che: "La filosofia è per natura paradossale, e non già perché si schiera dalla parte delle opinioni meno verosimili o perché mantiene le opinioni contraddittorie, ma perché si serve di frasi di una lingua standard per esprimere qualcosa che non è dell'ordine dell'opinione né della proposizione"(2). Ed a chi pretenderebbe di ricorrere agli "Universali" gli stessi autori risponderebbero che: -"Il primo principio della filosofia è che gli Universali non spiegano niente, ma devono invece essere spiegati"(3). A chi chiedesse una provvisoria definizione della filosofia che cosa si potrebbe allora rispondere? Beninteso che non esiste una sola possibile risposta, ma che potrebbero esisterne tante quante potrebbero essere i filosofi, potrei ancora replicare con un pensiero dei medesimi autori: -"La filosofia è l'arte di formare, di inventare, di fabbricare concetti"- (4).Ed anche Remo Bodei sostiene che: "Dove si installa la filosofia c'è sempre atmosfera di cantiere"(5)
A questo punto qualcuno, soffrendo l'essere orfano di certezze, potrebbe invocare l'aiuto della scienza, ma "persino le equazioni matematiche non godono di una tranquilla certezza tale da garantire la sanzione di un'opinione scientifica dominante, ma escono da un abisso che fa sì che il matematico -salti a piedi uniti sui calcoli-, ne preveda alcuni che non può effettuare e non raggiunga la verità senza -andare a sbattere da una parte e dall'altra-"(6).
Premesso tutto ciò, ho cercato di orientare il mio pensiero intorno a tre parole chiave: CRISI, COPPIA, AMORE, ripercorrendo alcuni luoghi conosciuti del pensiero filosofico di alcuni grandi pensatori del secolo appena concluso o di altri periodi della storia.
CRISI: da Kant in poi è tutto il pensare occidentale, poiché tutto è sottoponibile al giudizio critico della ragione, anche se tale crisi finisce per investire la ragione stessa: "con maggiore o minore virulenza le "crisi della ragione" sono ricorrenti. La ragione è sempre stata in crisi e sempre, per nostra fortuna, lo sarà. Fa parte del suo codice genetico perché non vi è ricerca di soluzioni che non parta dalla sorda e conclamata insoddisfazione per lo stato delle cose o delle conoscenze esistenti. Armistizio che precede o segue una battaglia".(7).
Detto ciò ci si potrebbe chiedere se esiste un pensiero che non sia crisi: o è fede, credenza, o è crisi (dal greco Krino, giudico, esamino le possibilità ed i limiti della ragione), allora diventa evidente che, la coppia non può che essere in "crisi", come ogni aspetto del nostro mondo occidentale all'inizio del 21° secolo.
.Nell'epoca moderna, anche la santità della religione deve sottostare al tribunale della ragione, nonostante la credenza sia restia a sottoporsi a tale tribunale e si tenga sempre una riserva.
Sorge a questo punto spontanea una domanda: "E' possibile una convivenza,un incontro tra una fede e la filosofia intesa come crisi? Ma nel momento in cui mi pongo la domanda e mi metto in ricerca (airesis) significa che sono già nel rovello del problema. Quanti e quali sono i concetti dati per scontati, accettati per "fede"? Che cosa si deve "dare per buono" e che cosa invece è in crisi?
Ciò non vuol dire oblio assoluto della"casa" da cui veniamo ed a cui vogliamo tornare, ma forse la casa non è più quella, o non c'è più il sentiero del passato e si è forzatamente costretti a cercare nuove vie.
La filosofia con il suo atteggiamento critico, vorrebbe evitare la deriva della "zattera", ben diverso invece e' l'atteggiamento della sociologia e della psicologia (senza nessuna svalutazione delle due discipline), che nelle loro accurate analisi, restano comunque sopra la zattera.
Oggi la filosofia può poco perché fa fatica a porre paletti rispetto all'economico, all'individualismo, fa fatica a rilanciare la critica; è il modo di fare società che toglie senso al rilancio della ragione con la sua funzione critica; la filosofia fa fatica ad elaborare valori perché il mondo sembra riprodursi automaticamente, in barba a qualunque tentativo di pensare in modo critico.
COPPIA Tra i vari significati che il dizionario Zingarelli della lingua italiana offre del termine coppia, si trova anche tale definizione: "Due elementi della stessa specie considerati nel loro complesso…". Il primo rimando è quindi al numero due.
Nella storia della filosofia, il filosofo che per eccellenza aveva ricondotto l'essenza di tutte le cose al numero è Pitagora.
Per lui (come per la maggior parte dei pensatori della Grecia antica), la razionalità è misurabilità ed armonia, mentre invece tutto ciò che si manifesta come incommensurabile è irrazionale e quindi è anche contrario al bene. "Questa opposizione fra bene e male, fra razionalità e irrazionalità, si presenta agli occhi dei Pitagorici come una delle dieci coppie fondamentali di opposti che caratterizzano la realtà. Le altre nove coppie sono il limite e l'illimitato, il dispari e il pari, il maschio e la femmina, l'uno e il molteplice, la destra e la sinistra, il movimento e la stasi, la retta e la curva, la luce e le tenebre, il quadrangolo ed il rettangolo."(8). Tra queste opposizioni, quelle fondamentali sono limitato-illimitato a cui corrispondono il bene ed il male e quella tra dispari e pari che si riflette in ogni cosa. "Il dispari è il bene, in quanto è indivisibile e perciò in sé compiuto, limitato, finito. Il pari (quindi il n 2, la coppia) è male perché è ulteriormente divisibile e perciò incompiuto, illimitato, infinito." (9). Questa dimensione etica e simbolica del bene, lo colloca dalla parte del limite e della luce, è un principio "retto" e "maschio", mentre il male è dalla parte dell'"illimitato", dell'"oscuro" e della femmina.
Un'intera antichissima tradizione culturale si specchia in questa visione dualistica della realtà (che attiene alla filosofia ma anche all'etica ed alla religione orfica), ed a mio parere, si è protratta nei secoli, condizionando in modo inverosimile il nostro pensiero occidentale filosofico e religioso.
Il filosofo dell'antichità che per eccellenza ci parla della coppia e dell'amore, è Platone e lo fa nel Simposio o Convito, uno dei dialoghi più famosi del conosciuto filosofo. Il passo in cui ci racconta dell'origine del genere maschile e di quello femminile (quindi della coppia) è forse uno dei passi più divulgativi di tutta l'opera di Platone ed è il discorso che pronuncia Aristofane al banchetto che si svolge tra un gruppo di amici che decidono di trattare, quasi per scherzo, il tema dell'amore. Così si può ricapitolare il discorso: "All'inizio l'uomo era una creatura "rotonda" con quattro braccia, quattro gambe e due facce, e vedeva in più direzioni, ma in cima era tutto unito, con una sola testa. C'erano tre sessi, se li si può chiamare così, in queste creature: il doppio maschio, la doppia femmina, e il maschio-femmina, dei quali il primo derivava dal sole, il secondo dalla terra, il terzo dalla luna, che è insieme astro e terra. Non vi era allora né amore sessuale né generazione sessuale; la razza si procreava da sola mediante una vera e propria proliferazione dal suolo. Queste creature erano altrettanto superbe quanto erano forti, e minacciarono di assaltare il cielo o di assediarlo, come apprendiamo dalle antiche tradizioni intorno ai -giganti-. Come misura di sicurezza Zeus le spaccò in due dall'alto in basso, e le ricostruì in maniera che il loro modo di propagazione divenisse da allora quello sessuale. A partire da allora l'uomo è soltanto per metà una creatura completa, e ciascuna metà va in giro con un'appassionata inclinazione a ritrovare il suo complemento e a saldarsi nuovamente con esso. Questo desiderio di riunione con la perduta metà del proprio essere originario è ciò che noi chiamiamo < amore >, e fino a che non viene soddisfatto nessuno di noi può raggiungere la felicità. L'ordinario amore coniugale tra uomo e donna è la riunione delle due metà di una delle originarie creature a due sessi, mentre l'attaccamento appassionato tra due persone del medesimo sesso è la riunione delle metà di un doppio maschio o di una doppia femmina, a seconda dei casi. Se si continuerà ad essere irreligiosi, ci sarà da temere che Zeus ci divida di nuovo e ci faccia saltare su una gamba sola, con un solo braccio e mezzo viso." (10).
Anche in questo caso la coppia è guardata con sospetto, è la conseguenza di un atto di rabbia di Zeus che punisce le creature originariamente non scisse in un maschile ed un femminile.
Non volendo e soprattutto, non potendo ripercorrere tutte le possibili riflessioni nella storia della filosofia sull'argomento, mi basta qui sottolineare che il tema della coppia rimanda direttamente a quello dell'identità e della differenza e (come ha sostenuto Sergio Givone nel suo intervento al festival della filosofia di quest'anno dal titolo: "Vita e desiderio") "dire che identità e differenza è un problema chiave da risolvere, significa prendere atto di ciò che sta accadendo".
La domanda cruciale che si nasconde dietro alla coppia ed a cui occorrerebbe prestare maggiore attenzione è:"Che cos'è l'uomo? Chi è l'uomo?" Possiamo davvero affermare che è "uno"? O possiamo invece interrogarci come faceva Pirandello nel suo splendido romanzo Uno, nessuno o centomila? Si potrebbe pensare allora che nella coppia non si è più solamente e semplicemente in due. Ed un'altra domanda altrettanto cruciale su cui invito a riflettere è quella circa la differenza di genere che sta alla base della coppia, ovvero :"Che cos'è il maschile e che cos'è il femminile?" Quanto ha inciso nella coppia, il "modello" delineatosi nei secoli circa le differenze di genere? E Quanto siamo in grado di accorgerci di quanto è violento e maschilisticamente incentrato il modello che ha poi determinato ruoli e situazioni? Abbozzando una possibile risposta, si potrebbe pensare che, la coppia è in crisi anche perché è immersa in una società in cui prevale la logica dell'economico in cui conti "devono tornare," ma proprio per questo, i conti non tornano proprio.
Si dovrebbe distinguere la fede dalla sociologia, dalla morale, dal diritto. La sfida della ragione in crisi si gioca oggi nella convivenza di più religioni e se si accetta che la propria religione non diventi l'unico orizzonte sociologico e l'unica pratica di costume, forse si andrebbe alla coppia con maggior leggerezza.
AMORE. Ancora una volta faccio mie le parole di un intellettuale, Salvatore Veca, che durante il festival di filosofia, trattando il tema "La vita esaminata e il caso del discorso amoroso," sostiene che "il tema dell'amore, dell'amicizia, nonostante sia un'esperienza umana quanto mai comune, è riottoso ad essere trattato con un discorso filosofico." L'autore continua il suo intervento sostenendo che quando si parla dell'amore, si può essere soddisfatti solo parlando a qualcuno o di qualcuno, trattando il tema come allocuzione o interlocuzione. La filosofia, invece, nella trattazione dell'argomento opera una sorta di delocazione.
Ancora una volta si può fare riferimento al Simposio di Platone, anche se, nel dialogo del filosofo in cui si stabilisce una scala dell'eros, Socrate, riportando il discorso di Diotima (la sacerdotessa di Mantinea) sembra voler affermare un possibile amore per "categorie".Se così fosse, dovremmo accettare la trasposizione del nostro amore su altre persone che avessero le stesse caratteristiche della persona amata. Ma il desiderio erotico implica un certo tipo di percezione della persona ed è un percepire i reciproci desideri (di questo desiderio riflessivo reciproco ne parla anche Sarte nel L'essere e il nulla). Se Menelao avesse pensato Elena come a qualunque altra donna, non ci sarebbe stata la guerra di Troia, né sarebbero state scritte L'Iliade e L'Odissea, così come se Dante non avesse visto in Beatrice qualcosa di unico e speciale, forse non avrebbe scritto La Divina Commedia e gli esempi si potrebbero moltiplicare all'infinito. Il tema dell'amore sembra essere più facilmente trattato da discipline quali la sociologia o la psicologia, si può infatti riflettere sul grande successo che ebbe il libro di Erik Fromm "L'arte di amare" o, in tempi più recenti, il pensiero di F. Alberoni espresso attraverso numerosi articoli e nel libro specifico sull'argomento dal titolo "Ti amo".
Il tema dell'amore sembra però essere l'argomento per eccellenza della letteratura.
"Come finisce un amore?- si chiede R. Barthes nel suo "Frammenti di un discorso amoroso"- Ma allora finisce? Nessuno, salvo gli altri, lo sa mai. Una specie d'innocenza nasconde la fine di questa cosa, concepita, propugnata e vissuta come eterna".(11)
"Il gioco è veramente intrigante: anche gli amori che poi finiranno, nel loro insorgere negano la possibilità della fine. In ogni amore, in realtà, è inscritta la fine, almeno come necessità di ogni amore di cambiare forma."(12). Parlare di amore che muore, ci spinge nel cuore del paradosso cristiano che associa la morte alla resurrezione e quindi anche alla speranza: "dove c'è dolore e morte nasce immediatamente la strada della speranza e della rinascita.
Con un'associazione di idee ardita ma suggestiva, penso alla -piccola morte-, il nome che i francesi danno all'orgasmo. Ancora una volta torna la connessione amore-morte, voi ne converrete, dovremmo chiamarlo -piccola resurrezione-, perché il bello non è morire, il bello è rinascere, e nell'amore che muore dobbiamo scorgere il germe della resurrezione."(13).
Che lo si voglia o meno, che se ne sia più o meno consapevoli, il nostro modo di provare sentimenti, attinge ad un serbatoio di cose che hanno a che fare con la nostra produzione umana di pensiero, letteratura, religione, storia o arte in genere, è così anche per l'amore.
"Negli anni trenta un pensatore francese, oggi abbastanza dimenticato, ingiustamente, Denis De Rushmon pubblicò un libro "L'Amour et L'occident", (L'amore e l'occidente ) in cui sosteneva all'incirca, che l'idea moderna dell'amore è stata elaborata in due tappe fondamentali nella storia della nostra civiltà occidentale.
La prima fase è quella dei trovatori, da cui deriva poi: l'amore cortese, lo "stil novo", i quali erano molto condizionati dalle idee catare.
La seconda fase con apporti nuovi di diversa origine è quella romantica. In breve l'idea di De Rushmon che attingeva una serie di esempi, che sono anche possesso, poco o tanto di ognuno di noi, è che l'amore, il grande amore che ci presenta la letteratura, l' amore diciamo che dilata il cuore, che cambia la vita, che può spezzare la vita, il grande amore interessante in sede artistica, per così dire, ha bisogno dell'ostacolo.
Ha bisogno dell'ostacolo proprio per il proprio sussistere come amore." (14). Gli ostacoli possono essere endogeni come incomprensioni, ostilità, equivoci e pasticci vari o esogeni come prigionia, o assenza dell'uno, terzo incomodo o impossibilità legata ad un altro vincolo ecc.
"Perché questo? Il saggio di De Rushmon che citavo prima, concludeva piuttosto polemicamente con un capitolo intitolato: "Sposare Isotta?" cioè alludeva al più grande mito d'amore della nostra civiltà occidentale, il mito di Tristano e Isotta seguito a ruota da quello di Romeo e Giulietta, però meno universale, meno rappresentativo: Cosa sarebbe successo se Isotta e Tristano non fossero stati, quando erano ancora giovani e innamoratissimi e purtroppo lei sposata con Re Marco, separati dalla morte? Cosa sarebbe successo se Tristano avesse sposato Isotta? Ora il mito, noi sappiamo , non è una favola, non è una creazione avulsa dalla realtà, nel mito si condensa l'esperienza umana. Allora perché la nostra idea occidentale del grande amore ha bisogno dell'ostacolo?" (15).
Mi si perdoni questa fuga nel campo letterario, ma questa idea dell'amore legata a stereotipi, a figure storiche (in senso hegeliano del termine), mi è sembrata particolarmente interessante e degna di condivisione. Per rientrare però nell'ambito filosofico della questione ci si può chiedere: "come si può definire l'amore filosoficamente parlando?" Ancora una volta è necessario ribadire che non è possibile definire le cose in modo univoco e che si deve necessariamente passare attraverso il pensiero di singoli autori o di scuole e correnti filosofiche differenti.
Hegel, in un certo passo della sua opera "La fenomenologia dello spirito", quando cerca di definire la celeberrima figura del servo-padrone da cui poi muoverà Marx per la sua rivoluzionaria teoria, sostiene che nell'uomo c'è un appetito che lo spinge ad impadronirsi delle cose, e farle proprie, a goderne. Attraverso esse l'uomo costruisce un proprio mondo, con esso si identifica acquisendo coscienza di sé; ma l'autocoscienza diventa piena solo quando nel proprio mondo compare un altro uomo. Ogni uomo è spinto verso l'altro uomo da un impulso, un appetito: la volontà di essere se stesso, di essere riconosciuto come autocoscienza. Affermare sé di fronte ad un altro è possibile solo se il primo ci riconosce come autocoscienza. Ciascuno vuole inserire l'altro nel proprio mondo, nella rete di relazioni di cui ciascuno è il centro. L'uomo non rispetta l'altro nella sua diversità ma vuole farlo suo, imponendosi come autocoscienza. Nasce una lotta, la posta in gioco è la possibilità di essere se stessi di fronte all'altro. Nella lotta ciascuno rischia la vita, occorre elevarsi al di sopra di essa ed accettare la possibilità della morte. La dialettica servo-padrone, si instaura quando uno dei due esseri umani non riesce a compiere questa operazione spirituale di elevazione al di sopra della propria vita ed ha paura di perderla. Allora riconosce l'altro come autocoscienza indipendente, come signore e riconosce se stesso come servo, come coscienza dipendente da quella indipendente del signore.
Questa riflessione mi porta ad interrogarmi nel profondo se non sia avvenuto qualcosa di analogo nella storia, in particolare in riferimento al rapporto che intercorre tra il mondo maschile e quello femminile e della loro conseguente relazione "d'amore e di coppia."
Un'altra interessante visione dell'amore e della coppia ci viene da un altro grande pensatore dell'800 A. Schopenhauer, anche se è una posizione decisamente pessimista ed assai priva di speranza, ma ugualmente ricca di stimoli per il pensiero.
Il filosofo ritiene che l'amore sia solo lo strumento, l'inganno della natura, o meglio della Voluntas, quella forza infinita che la sottende, per perpetuare il genere umano. Infatti, se l'uomo non fosse dominato dall'istinto erotico non metterebbe mai al mondo dei figli, perché nessuno è tanto malvagio, afferma Schopenhauer, da augurare a qualsivoglia essere vivente la vita in questa valle di lacrime. E' per questo che la natura avrebbe associato l'orgasmo all'accoppiamento, per indurre l'individuo a superare il senso di colpa connesso all'atto del procreare. "Il desiderio e il dolore dell'amore non possono trarre la loro essenza dai bisogni di un individuo effimero: essi sono piuttosto il sospiro della specie, il suo gemito profondo."(!6) Per questo motivo il filosofo intravede come unica possibile via d'uscita il Nirvana, ovvero l'annientamento delle pulsioni, degli istinti che ci spingono a moltiplicare i desideri salvo poi rimanere profondamente insaziati ed insaziabili nell'amara constatazione di un insorgere continuo di nuovi e più impellenti desideri .
Nietzsche, che muove dal pensiero di Schopenhauer, giunge però a conclusioni assai diverse ed elaborando il concetto di "dionisiaco" invita a "dire sì alla vita" con tutto ciò che essa comporta.
Il pensiero di questo autore (forse il più rappresentativo del secolo appena concluso) è però così ricco di implicazioni ermeneutiche che meriterebbe un'attenzione ed un'analisi qui impossibili, mi limito pertanto a suggerire la lettura del passo contenuto nell'opera "Così parlò Zarhatustra" dal titolo "Dei figli e del matrimonio".
Tentando di definire "filosoficamente" la parola amore, il rimando all'etimologia è d'obbligo, ne risulta quindi che possiamo definire tale sentimento con le tre accezioni della lingua greca che ce ne restituiscono aspetti differenti, ma a mio parere inseparabili, se non si vuole correre il rischio di un'esistenza vissuta all'insegna della schizofrenia esistenziale (se mi è concessa l'espressione): l'amore è Agape, Philia, Eros.
Si potrebbe a questo punto aprire un pensiero ricchissimo di spunti dialettici di riflessione, ma forse potrebbe essere il tema per un prossimo momento di confronto vista la vastità e la problematicità dell'argomento. Concludo questa mia riflessione con un pensiero di Marcuse consapevole della profonda provocazione esistenziale a cui ci rimanda, ma anche della gioiosa speranza che reca in sé, affinché l'uomo riesca a trovare un modo di popolare la terra coniugando la gioia e la responsabilità di esistere :"Che in ultima analisi Eros e Agape possano essere una cosa sola- non che Eros sia Agape, ma che Agape sia Eros- dopo quasi duemila anni di teologia- può sembrare strano. Né sembra giustificabile ricorrere a Platone come difensore di questa identità- Platone che fu proprio colui che introdusse nell'economia della cultura occidentale la definizione repressiva dell'Eros. Pure il "Simposio" contiene la più esplicita esaltazione dell'origine e della sostanza sessuale dei rapporti spirituali. Secondo Diotima, Eros conduce il desiderio di un corpo bello a un altro corpo e alla fine a tutti i corpi belli, poiché e sarebbe assurdo . Da questa sessualità veramente polimorfa sorge il desiderio di ciò che anima il corpo desiderato: della psiche e delle sue varie manifestazioni. Esiste un'ascesa ininterrotta della soddisfazione erotica dall'amore fisico di un corpo a quello di un altro, fino all'amore di bei lavori e bei giochi e infine all'amore della bella conoscenza. La strada che porta alla < cultura superiore > procede al retto amore per giovanetti. La < procreazione > spirituale è opera di Eros esattamente come la procreazione fisica, e l'ordine giusto e vero della Polis è un ordine erotico esattamente come l'ordine giusto e vero dell'amore.Il potere di costruire la cultura che ha l'Eros, è sublimazione non-repressiva: la sessualità non è deviata dal suo obiettivo, né bloccata in questo; si può dire piuttosto che raggiungendo il suo obiettivo, essa lo trascende alla ricerca di altri, alla ricerca di una soddisfazione più piena."(17).



Note:

(1) da La filosofia dalla porta di servizio,Raffaello Cortina, Milano 1997, in Filosofia, a cura di M. De Bartolomeo- V. Magni, Tomo 0, Atlas, Bergamo 2002, p. 22.
(2) Deleuze-Guattari, Che cos'è la filosofia?, Einaudi , Torino 1996, p. 72.
(3) Ivi, introduzione, p. XI.
(4) Ivi, p. X.
(5) Remo Bodei, Il Dottor Freud e i nervi dell'anima, Donzelli, Roma 2001, p. 32.
(6) Deleuze-Guattari, Che cos'è…, cit. p. 213
(7) Remo Bodei, Il dottor….cit. p.33.
(8) M. De Bartolomeo- V. Magni, Filosofia…Tomo 1, cit. p. 34.
(9) Ivi, p. 36.
(10) A. E. Taylor, Platone, L'uomo e l'opera, La Nuova Italia, Firenze 1976, p. 342.
(11) G. Salonia, in A.A. V.V., A partire dai cocci rotti, Cittadella, Assisi 2001, p. 145.
(12) Ivi.
(13) Ivi.
(14) Ivi p. 154.
(15) Ivi p. 155.
(16) A. Schopenhauer, Metafisica della sessualità, Mondadori, Milano 1993, in copertina.
(17) H. Marcuse, Eros e civiltà, Fabbri Editori, Bergamo 2004, p. 226.



Bibliografia:

Alberoni, Francesco, Ti Amo, Rizzoli, Milano 1996.
A.A. V.V., A partire dai cocci rotti, Cittadella, Assisi 2001.
Bodei, Remo Il Dottor Freud e i nervi dell'anima, Donzelli, Roma 2001.
De Bartolomeo M.-. Magni V.,Filosofia, Tomo 0,Tomo1, Atlas, Bergamo 2002.
Deleuze-Guattari, Che cos'è la filosofia?, a cura di C. Arcuri, trad. it di A. De Lorenzis, Einaudi , Torino 1996.
Deleuze, Gilles, Logica del senso, trad. it. di M. de Stefanis, Feltrinelli, Milano 1997.
Dizionario Zingarelli della lingua italiana.
Fromm, Erich, L'arte d' amare, trad. it, di M. Damiani, Il Saggiatore Milano 1981.
Hegel, Georg. Wilhelm, Friedrich, Fenomenologia dello spirito, trad. it. Di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1973.
Heidegger, Martin, Lettera sull'umanesimo, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1995.
Kant, Immanuel, Critica della ragion pura, a cura di G. Colli, Einaudi, Torino 1957.
Marcuse Herbert, Eros e civiltà, trad. it. Di L Bassi, Fabbri Editori, Bergamo 2004.
Muraro, Luisa, Il Dio delle donne, Mondatori, Milano, 2003.
Nietzsche, Friedrich, Così parlò Zarathustra, a cura di G. Colli e M. Montanari, Adelphi, 1988.
Platone, Il Convito, trad. it. di E. Savino, Garzanti, 1981.
Schopenhauer, Arthur, Metafisica della sessualità,trad. it. di A. Vigliani, Mondadori, Milano 1993.
Schopenhauer, Arthur, Il mondo come volontà e rappresentazione, a cura di G. Riconda, trad. it. N. Palanga, Mursia Milano 1991.
Taylor, Alfred Edward, Platone, L'uomo e l'opera, trad. it. di M. Corsi, La Nuova Italia, Firenze 1976.


    correlati:


:back_  :top_
ultimo aggiornamento: martedì 26 ottobre 2004 21.44.40
powered by: Web-o-Lab
Bollettario.it